martedì 28 febbraio 2012

Il Nuovo Giardino Magnetico presenta: ''Erodiscotheque''




TRACKLIST
01 - THE RAPTURE: How Deep Is Your Love  da (DFA, 2011)
02 - DISCODEINE f. J. Cocker: Synchronize   da (DFA, 2010)
03 - HOLY GHOST: I Will Come Back da (DFA, 2009)
04 - ERODISCOTIQUE: A Reason For Living   da (Gomma, 2011)
05 - 2 GUYS IN VENICE: Beard and Butter da (Nans, 2011)
06 - IN FLAGRANTI: Louvre For Yo da (Codek, 2008)
07 - SCISSOR SISTERS: Invisible Light (S. Price Rx) da (Boysnoize, 2010)
08 - MARCEL CHAPMAN: City Lights (Disco Mix) da (Discopush, 2010)
09 - SARE HAVLICEK: Pleasure Storm (O. Mix) da (Nang, 2010)
10 - ERODISCOTIQUE: Ero Disco Theme da (Gomma, 2011)
11 - SHIT ROBOT: Take Em Up (Original Mix) da (DFA, 2010)
12 - GOLDEN BUG & RODION: Do The Washing M. da (B.G., 2011)
13- ALI LOVESmoke and Mirrors (Bottin Remix) da  (Back Yard, 2010)

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lunedì 27 febbraio 2012

Il Nuovo Giardino Magnetico presenta: ''Amore Alieno''

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Contatti  ravvicinati
01 - SANDRO CODAZZI - Android Ritmo Abarth - da (MCL, 2011)
02 - AJELLO - Amore Alieno - da (Mantra Vibes Rec.s , 2006)
03 - ENZO PONZIO - UFO Dancing - da (Pizzico Nobel, 2010)
04 - MISS PLUG INN - Zodiac (Bottin Remix) - da (M.C., 2008)
05 - RODION - Alagoas Cowboys - da (Gomma Rec.s, 2010)
Approdo alle balere
06 - SCUOLA FURANO - Chocolate Glazed - da (Riotmaker, 2004)
07 - FARE SOLDI - Pompa O Non Pompa - da (Riotmaker, 2010)
08 - CRAXI DISCO - Miramare - da (Tanztone Rec.s, 2010)
09 - AJELLO feat. DON CHICO - Sabrer - da (DWDK, 2011)
10 - AJELLO - El Charro - da (Danny Was A Drag King, 2011)
11 - CECILE - Sweetness 86 - da (Gommma Recordings, 2010)
Ritorno al cosmo
12 - GIANNI ROSSI - Theme From Star Vehicle - da (P.V. 2011)
13 - MARCELLO GIORDANI - Roma - da (Slow Motion, 2011)
14 - CRIMEA X - 10 Pm - da (Hell Yeah Recordings, 2009)
15 - BOTTIN - No Static (Main Version) - da (IDIB Rec.s, 2009)
16 - SANDRO CODAZZI - Aftermath - da (MDUCL Rec.s, 2011)
17 - RODION - La Prova Col Vocoder - da (Radiodd Rec.s, 2005)
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mercoledì 22 febbraio 2012

The exciting sound of Django Django


Quartetto di Edinburgo ormai naturalizzato londinese, i Django Django  fanno della stravaganza e dell'ineffabilità un valore, rendendosi in questo modo speciali e diversi da tutti gli altri. Sicuramente uno dei gruppi britannici più singolari, creativi e ambiziosi del momento, un progetto estremamente serio nelle intenzioni, eppure così divertente all'ascolto. Attivi dal 2009, (anno di pubblicazione del loro singolo di debutto: ''Storn'') i Django Django definiscono la propria musica in maniera alquanto bizzarra (lascio a voi la traduzione): ''rollicking sing-alongs, galloping into disco sunsets like whisky-addled and leather-saddled bandits on the stolen backs of prairie wild mustangs''. E in effetti nel loro omonimo album di debutto (appena pubblicato dall'ottima label francese Because) la carne al fuoco è davvero tanta. Un mix di suoni per definire il quale sono stati scomodati decine di nomi riuscendo peraltro solo parzialmente a catturare un'attitudine difficilmente catalogabile. Il gruppo ingloba bene una tendenza elettronica più o meno marcata a seconda dei pezzi, un eccitante mix groovato all'insegna di una eclettica varietà di pop trasversale e andamenti bizzarri in cui convivono armonicamente e vengono shakerate varie influenze e ispirazioni (dai Beatles ai Can, da Bo Diddley ai Beach Boys passando per i Kraftwerk; e ancora atosfere psichedeliche e orientaleggianti, danze tribali, suggestioni tropicali ed exotiche, armonie typically british e chi più ne ha più ne metta). Tutti e 13 gli episodi del disco entusiasmano pur senza chiarire il dilemma di una eventuale definizione di questo suono, che riesce ad avere, nonostante la sua eterogeneità, un vero filo conduttore. In pratica è come se il gruppo fosse riuscito a trasformare il suo lato più bizzarro e recondito, in qualche cosa di superiore e speciale a livello artistico, un po' come facevano qualche anno fa gli indimenticati Beta Band. E l'accostamento, in questo caso, sembra essere quanto mai opportuno e calzante, non solo per le doti creative impresse nella musica delle due band, ma anche in termini di patrimonio genetico (letteralmente) considerato che il Maclean (Dave) leader dei Django altri non è che il fratello minore di quel John tastierista della gloriosa e ben più famosa band scozzese. Inventori o innovatori che siano, con i piedi ben piantati nel passato, una forte coscienza presente, e uno sguardo costantemente rivolto al futuro, i Django Django sono attualmente uno dei nomi più accattivanti dell'intera scena musicale d'oltre manica, e (se escludiamo un'orribile copertina, unico piccolissimo neo), questo lavoro sembra avere tutte le carte in regola per candidarsi sin da ora come uno dei probabili protagonisti delle liste di fine anno.



domenica 19 febbraio 2012

Twenty years younger...




Correva l'anno 1992. Mentre ci torno, idealmente e musicalmente, faccio due semplici calcoli; quattro lustri non saranno un eternità, ma rappresentano comunque quasi la metà della mia intera esistenza. Abbastanza, quindi, per una personalissima panoramica retrospettiva dal forte sapore nostalgico, che non può far altro che riportarmi alla memoria i bei tempi del liceo, quando a 'twittare' erano sono gli uccellini sugli alberi, e scambiarsi musica su cassettina rappresentava ancora uno dei pochi modi utili al fine di decidere in che cosa sarebbe valsa la pena investire la paghetta settimanale della mamma. Fà uno strano effetto, poi, appurare come 'rispolverare' gran parte di quei dischi finisca col riaccendere le suggestioni e i tanti ricordi che ad essi si legano, rievocando pomeriggi in cameretta a scrutare vinili dal grande fascino, oggetti di culto da ascoltare ed amare incondizionatamente, magari pensando alle prime, dolcissime, cotte. Ma al di là di qualsivoglia risvolto nostalgico da eterno adolescente rimane la consapevolezza d'aver speso bene quelle lirette (e lo dico col senno di poi); quindi la personale soddisfazione di ospitare fra gli scaffali di casa tutti i lavori che ora presenterò, limitati nella scelta delle schede a una trentina di titoli (in realtà qualcuno in più), oltre a una lunga lista alternativa che, per (elevata) qualità media, ha complicato non poco la valutazione delle preferenze, se di preferenze vogliamo parlare. Prima di concludere volevo sottolineare come questo post nasca in realtà da un'idea che nelle mie intenzioni avrebbe dovuto concretizzarsi già a partire dal 2011, con l'obiettivo di riassumere attraverso il medesimo schema l'anno di grazia 1991, memorabile soprattutto in virtù di una serie di lavori che si sono già (meritatamente) guadagnati lo status di pietre miliari (Screamedelica, Loveless, Blue Lines, Nevermind, Sailing The Seas Of Cheese, Spiderland, e molti altri) ma importante anche per una rinnovata politica dell'industria discografica, in modo particolare delle majors, che cominciarono a riconoscere nelle cosidette nicchie di musica indipendente la loro nuova gallina dalle uova d'oro (l'esempio dei Nirvana resta ovviamente il più emblematico). Un' anno mirabilis di cui l'intero movimento sembrò giovarsi anche nei mesi e negli anni successivi, a partire da un magnifico 1992, che pur non raggiungendo quell'apice assoluto, rappresentò nel suo complesso (per varietà, qualità e quantità) un passaggio fondamentale per la musica di quel decennio.

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TWENTY YEARS YOUNGER...


Ventunenne riservato originario della Cornovaglia, pioniere della ricerca sonica compiuterizzata,  e dedito sin dall' adolescenza a costruire i propri synth nel garage paterno, Richard D James (quì con il moniker storico, Aphex Twin) si rivela al mondo con questo lavoro che diventerà una pietra miliare dell'elettronica post-techno. Il disco è in buona parte costruito dai brani che R.J. faceva circolare tra gli amici entusiasti e i suoi primi fan. Un susseguirsi di ritmi cerebrali minuziosamente calibrati danno corpo a creature sonore che impiegando stilemi techno riescono a spingersi ben oltre i confini dell'ambient più ipnotica e sequenziale. Il visionario manifesto di un ragazzo destinato a diventare il punto di riferimento carismatico e innovativo nella proiezione elettronica degli anni a venire.
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L'esordio di un gruppo che pur facendo base a Milwaukee, dunque in un centro del nord industriale degli Stati Uniti, lasciava trasparire con estrema chiarezza le proprie origini rurali e meridionali. In una fattoria di Memphis nacque per l'appunto Todd Thomas, aka Speech, e sempre a quelle assolate e povere campagne del Tenessee il lider del formidabile quintetto si ispirò per tessere, assieme ai suoi compagni, uno dei più riusciti e felici mosaici nel segno dell' hip hop. Musica imbevuta del soul, del blues e del gospel locale. Un potpourri stilistico orchestrato secondo una visione grandangolare della black music unito ad un gusto estremamente elegante.
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Balanescu Quartet: Possessed (Mute)
Alexander Balanescu e il suo quartetto (due violini, viola e cello) riprendono cinque brani fra i più noti del repertorio dei Kraftewerk (Robots, Model, Autobahn, Computer Love, Pocket Calculator) e li trasformano in altrettante pieces di cristallina bellezza, cogliendo il respiro profondo delle composizioni dei tedeschi, ma trasportandone in un altro mondo le sonorità. A completare il quadro una cover di David Byrne (da Uh-Oh) e 3 lunghe composizioni originali dello stesso Alexander, che sanno essere tanto energiche (la title-track, frutto della tumultuosa opposizione tra un violoncello arrabbiato e dei violini supplichevoli) quanto delicate (le angeliche Miranda Sex Garden ospiti in Want Me). Un piccolo classico del controverso (e ormai abusato) rapporto tra strumentazione classica e repertorio rock (o para-rock).
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Paul Stewart e Keith Girdler hanno avuto il merito e l'onore di pubblicare due dei migliori lavori in casa Sarah, etichetta culto per tutti gli appassionati di indie-pop inglese (a cui il sottoscritto dedicò uno speciale proprio da queste parti): If Wishes Were Horse e Unisex. Il primo uscì appunto nel 1992, il secondo due anni più tardi. Due classici assoluti del catalogo della casa di Bristol che non posso far altro che consigliare di prelevare in coppia. Gli arrangiamenti morbidi, gli archi, le atmosfere malinconiche e bucoliche..., la dolcezza di questi dischi è infinita. L'edizione giapponese di If Wishes Were Horse accompagna agli 8 brani della scaletta  originale del disco anche i primi due meravigliosi singoli Clearer e Popkiss.
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Don Byron: Tuskegee Experiments (Elektra Nonesuch)
Don Byron si è imposto all'attenzione della critica specializzata, vuoi come strumentista virtuoso, vuoi per lo stratificato bagaglio musicale e culturale che riesce a mettere a frutto e far pesare sulla propria ispirazione. Il titolo del suo primo disco, Tuskegee Experiments, si riferisce a due esperimenti, ideati presoo l'Alabama Tuskegee Institute, che testimoniano alcuni aspetti dell'efferata discriminazione patita dai neri d'America negli anni 30 e 40. Ma l'umore dell'album più che sul registro della rabbia insiste su un senso di profondo e maturo rammarico con Byron che sciorina il suo spiritual styling, affronta una composizione di Shuman, piange un blues, dialoga con il violino di Greta Buck, ritrova il suo più congeniale alter ego in Bill Frisell. Musica raffinata e graffiante.
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Catherine Wheel: Ferment (Fontana)
I C.W. si formarono nel 1990 a Greath Yarmouth in Inghilterra da un idea del cantante chitarrista Rob Dickinson (peraltro cugino del ben più noto Bruce Dickinson  degli Iron Maiden). Inizialmente il loro stile incarnò un sublime shoegazing dai forti accenti rock, chitarre in vortice e melodie avvincenti. I primi singoli su Wild Club attirarono le attenzioni del solito John Peel che favorì loro il nuovo contratto con Fontana e l'inizio della collaborazione con Tim Friese-Greene dei Talk Talk, che produsse poi questo magnifico esordio, rendendo il suono del gruppo appena più psichedelico, ma mantenedo intatti i muri di chitarre che avvolgono i brani senza soffocare le suggestioni oscure e notturne che distinsero questa band da molte altre del genere.
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Concepito in Brasile e registrato fra California e Australia, Henry's Dream  incarna lo spirito errante, tenebroso e  votato alla profondità del poeta maledetto. La sublimazione della musica trasportata in tormento e partecipazione. Ma il disco ha anche una buona carica di humor, se pur nerissimo. Un catalogo umorale di riferimenti letteri e cinematografici; la consueta carellata di personaggi sociopatici e marginali come proiezioni del torbido subconscio di Cave. Le musiche ci restituiscono varie gradazioni di atmosfere (venature blues e gospel,struggenti e romantiche ballads, rock'n'roll arcigni) con i suoni scarni e taglienti dei Bad Seeds a fare da contorno a saltuarie orchestrazioni d'archi. Un lavoro di grande forza espressiva.
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Ornette Coleman/Howard Shore: Naked Lunch (Milan)
Naked Lunch è la colonna del film di David Cronenberg dall'omonimo romanzo di William S. Borroughs. La musica che fà da sfondo alle immagini del film è strettamente dominata dalla figura di Ornette Coleman che Howard Shore ha voluto al suo fianco in quest'avventura. L'azione alterna ambientazioni contrastanti; da una parte la New York claustrofobica e dall'altra l'affascinante allucinazione afroamericana. Short voleva un solista jazz che avesse vissuto la rivoluzione culturale e musicale afro-americana e fosse in grado di adattarsi allo strano dualismo ambientale messo in scena. La voce del sax di Coleman sembra voglia resuscitare lo spirito di Charlie 'Bird' Parker, ma nei tratti di una rilettura originale, senza cioè perdere l'orientamento del suo personalissimo stile. Magnifico.

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Paolo Conte: 900 (CGD)
Il miglior lavoro italiano di quell'anno, 900 è la solita  appassionante lezione di stile, di immaginazione, di calore e musicalità del grande artista di Asti. Un eccellente prodotto d'autore, riconoscibile dalla prima all'ultima nota, scritto diretto e interpretato da uno dei pochi cantanti italiani, allora come oggi, che riesca a coniugare le melodie della grande musica d'ogni tempo (jazz, blues, tango, rumba, mambo) attraverso meditazioni riconoscibili (i ritmi di New Orleans, gli scherzi di Django Reinhardt..) ed altre più discrete (i poeti minori italici e transalpini, romanze, spruzzatine di mitteleuropa...) cantando il tutto in modo accolitamente personale, quasi unico. Una doviziosa trama di suoni che innesta momenti magici per atmosfera e nidore di immagini.
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Dal Julian Cope ecologista, impegnato a denunciare l'ignobile ecocidio di questo pianeta di Peggy Suicide dell'anno precedente, a quello mistico di questo Jehovahkill, in cui il musicista guarda alla religione organizzata come fonte di ogni male (la Island pose molti problemi per via dei testi).16 composizioni che ribadiscono la bramosia di Cope per quei lontanissimi giorni in cui gli abitanti d'Albione vivevano liberi nello spirito, nelle mente e nel corpo. Il quadro che ne viene fuori è straordinariamente eterogeneo, ricco, vivido, ai margini dei territori magici, ipnotici, selvaggi, visionari e allo stesso tempo tremendamente pop,con la voce duttile e maestosa del druido Cope a illuminare tutto.
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Disposable Heroes Of Hiphoprisy: Hipocrisy Is The Greatest L. (4th & B.)
Conclusa l'esperienza con i Beatnigs, formazione californiana di funk rumorista, Michael Franti e RonoTse, decidono di dar vita ad un nuovo progetto di hip-hop sui generis, i DIOH, e registrano un disco che fa scalpore per violenza polemica. Gli argomenti affrontati sono il potere dei mezzi di informazione, i conflitti razziali, la Guerra.. Una delle figure immanenti dell'album è senz'altro Gil Scott Heron, il grande poeta, quasi emulato in un paio di brani e citato nella lista degli ispiratori con, tra gli altri, MalcolmX e J.Biafra (viene anche campionata California Uber Alles). Rap in prosa, forse poco spettacolare, ma decisamente incisivo per via del timbro vocale asciutto e deciso di Franti. E alla sobrietà si informano anche le basi ridotte spesso ad austeri canovacci ritmici sui quali risaltano perfettamente campionamenti e voci.
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Flaming Lips: Hit To The Death Of The Future Head (Warner Bros)
Il seguito da culto che si andava formando in quegli anni attorno alla band si concretizza con quest'esordio per una major. Anche se il contratto con la la WB li ammorbidisce abbastanza, loro musica rimane fuori dal tempo. I Flaming Lips dimostrano di essere ancora maestri nello scrivere canzoni in grado di stare in piedi a dispetto della confusione di suoni che regna tutto intorno al tema melodico, nel correlare di surrealistici orpelli sonori ballate che hanno spesso il tenero candore delle ninne nanne o l'incedere delle marcette circensi. E a chi si chiedeva per quale motivo non fossero state spalancare loro le porte di un centro per la cura intensiva della demenza noi rispondiamo che una delle principali ragioni per le quali, ancora oggi ha un senso parlare di rock psichedelico e anche grazie ai Flaming Lips.
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Gallon Drunk: You The Night And The Music (Clawfist)
Già la copertina illustra con maschere rituali, coccodrilli e tamburi la musica di questi loschi figuri londinesi. Una paludosa saga di blues perversi, circondati da un alone misterioso per via di trame chitarristiche che rimandano inevitabilmente a vecchi b-movies. Canzoni cariche di suggestioni, richiami visivi e musicali. Quell' accavallarsi malizioso di oblique citazioni jazz e blues, di reiteranti rimandi al lato oscuro e peccaminoso del r'n'r, quello schizofrenico vagabondare fra rumba e punk, r&b e country, quelle scorticatissime chitarre crampsiane e la voce cavernose di James Johnston degna del miglir Nick Cave. Un suono impuro che, delegato agli aspetti più epidermici delle emozioni, scarnifica di ogni artifizio l'essenza stessa del r'n'r. Bellissimo.
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Joe Henderson: Lush Life-The Music Of Billy Strayhorn (Verve)
Con uno stile ricco ed articolato in una pluralità di elementi in cui non è difficile cogliere le influenze dei più grandi interpreti dello strumento (John Coltrane, Sonny Rollins), Joe Henderson (1937-2001) continua ad essere riconosciuto  da molti come un modello per il rigore e il disinibito coraggio di esploratore di armonie. Il suo modo di porgere le note accarezzandole, l'accentuato lirismo che pervade ogni sua esecuzione, il suono caldo che sconfina nel flautato, rendono Henderson l'interprete ideale per la musica di Strayhorn. Nell'occasione il sassofonista si cimenta in ogni possibile situazione (solo, duo, trio, quartetto) accompagnato da Wynton Marsalis, Stephen Scott, Christian McBride e Greg Hutchinson. Henderson guida con lucidità e perizia. Il resto lo fa la grande musica di Billy Strayhorn.
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Kronos Quartet: Pieces Of Africa (Elektra Nonesuch)
I quattro archi newyorkesi del Kronos Quartet si sono sempre mossi con scioltezza alle latitudini più disparate, senza rispettare alcuno schema preciso, se non quello dell'avventura che ogni album affronta. Immancabile, quindi, uno sguardo all'affascinante mondo della musica etnica, ed in particolare agli incalzanti ritmi tipici del continente africano. Un viaggio immaginario, un' esplorazione al solito affascinante alla ricerca delle emozioni suscitate da un universo così ricco di valori umani e spirituali, rispettando le scritture originali e valorizzando l'opera di musicisti poco noti provenienti da Marocco, Sudan o Zimbabwe (FodayMusa Suso, Duwisani Maraire, Hassan Hakxoun..) attraverso sperimentazioni jazz e influenze classiche.
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Mercury Rev: Yerself Is Steam + Lego My Ego (Beggars Banquet)
Il fatto che anche il sig. P. Scaruffi, l'uomo dalla manica più stretta che sia dato conoscere, abbia descritto Yeself.. come (udite udite) uno dei dischi piu` importanti del rock psichedelico e uno dei capolavori degli anni '90, di per sè non vuol dire assolutamente nulla e va preso come una semplice curiosità. Quel che è certo è che Donahue & C. sono riusciti nell'impresa di distillare un sound assolutamente originale di suggestioni psichedeliche, irruenze rumoriste e umori decadenti. L'esordio di una band sensibile e inquieta in grado di impreziosire la loro musica con un tessuto di intuizioni sempre fresche e sorprendenti. Il disco in realtà venne pubblicato negli USA nel '91, ma questa edizione europea ce lo ripropone con un succulento bonus di 56', Lego My Ego in cui spunta anche una cover di Sly & Family Stones.
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Jeff Mills: Waveform Transmission Vol.1 (Tresor)
Mentre intorno alla metà degli anni '80, Chicago inizia la rilettura moderna della tradizione disco che porterà alla musica house, Detroit teorizza un suono libero da tutti gli obblighi possibili delle tradizionali piste da ballo. La techno è stato il primo momento in cui il musicista nero ha guardato ammirato a fonti bianche. La fonte (Kraftwerk soprattutto) era bianchissima, ma inglobaca schegge di negritudine. Si pensi alla cosa ritmica. E' in questo corteggiamento di opposti che si delineano tali nuove pulsazione. E Mills, insieme al collettivo Underground Resistence, della techno diventerà uno dei propulsori massimi. In questo lavoro si va ancora oltre, tra spirali acide, sciabolate ritmiche, marasmi apocalittici per un suono disperatamente minimalista.
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Morphine: Good (Accurate/Rykodisc)
Scomparso il 3 Luglio del 1999 a causa di un attacco cardiaco durante un concerto che stava tenedo con i Morphine a Palestrina (poco fuori Roma), Mark Sandman è stato uno dei personaggi più innovativi dell'indie rock americano di quegli anni. 3 dischi con i Treat Her Right e 4 con i Morphine (escudendo raccolte e quant 'altro) sono la sua eredità. In particolare con i secondi, il cantante e bassista del Massachusetts (il cui strumento era una sorta di basso slade con le corde montate su una chitarra) raggiunse quell'alchimia che rese grande la band di Boston, la cui prima estasi fu proprio questo Good; un lavoro intriso di blues intimisti alla Nick Cave, sax taglienti, umori jazz asciutti e minimali, pulsazioni ipnotiche e cavernose. Magnifico a dir poco.
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The Orb: U.F.Orb (Big Life Records)
Secondo capolavoro in due anni per Alex Patterson & Trash, aka The Orb dopo Adventures.., U.F.Orb delinea un viaggio cosmico di affascinante bellezza da cui affiora una grande familiarità con le sperimentazioni elettroniche degli anni passati (Eno, Riley, Kraftwerk, Cluster, T.Dream, Can..) e altrettanta confidenza con le tecnologie dello studio di registrazione (incastri sonori, brevissimi campionamenti, pattern ritmici esemplari, magistrale uso del dub). Dietro la rarefazione atmosferica di alcuni (lunghi) passaggi è possibile scoprire un patrimonio di spunti sonori brillanti e di immagini affascinanti. L'importante e lasciarsi trasportare dalle maree sonore e ipnotizzare dalle iterazioni melodiche. Un lavoro che ha fatto scuola.
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Pavement: Slanted And Enchanted (Matador/Big Cat)
Ascoltando la musica dei Pavement verrebbe facile associare dei nomi e delle sigle della storia del rock, ma un tale elenco finirebbe per mancare completamente l'obiettivo di sintetizzare in un paradigma attendibile e coerente i loro principali connotati stilistici. E se quei richiami rendono le canzoni di Slanted & Enchanted subito familiari, a dispetto di tutte quelle analogie i Pavement erano davvero diversi da tutto ciò che del rock si conosceva prima di loro. Un gioco destruttivista atto a sezionare le canzoni dall'interno, mantenendo invariato lo scheletro ma ricucendolo con chitarre spesso dissonanti e un gusto per l'arrangiamento scarno e bizzarro. Una semplicità che inizialmente potrebbe sembrare banale, ma che proprio in tale basilarità cela la sua forza. Nella mia top ten degli anni Novanta.
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Pj Harvey: Dry (Too Pure)
Dry: asciutto, essenziale, scarno. L'aggettivo perfetto per qualificare questa raccolta di canzoni frutto della vena di una minuta, audace, introversa Pj Harvey che sorprese per l'abilità, davvero fuori dell'ordinario per una songwriter poco più che adolescente, di costruire pezzi dotati di una rara capacità di presa emotiva. Intima e confidenziale, la musica di PJ sprigiona energia e ritmo, graffia attraverso palpitanti crescendo, batterie essenziali, bassi pulsanti e qualche tocco di archi. L'apice dell'intera opera è la tenera e crudele ballata acustica Plants And Rags, cronaca struggente di speranze infrante. Un esordio che lasciava già presagire quanto ci fosse davvero qualcosa di grande nella sensibilità cantautorale di quella ventenne.
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Red House Painters: Down Colorful Hill (4AD)
Gruppo di San Francisco, i RHP sono considerati, insieme agli American Music Club, una delle principali band del movimento slowcore/sadcore. Quando uscì Down Colorful Hill, esordio dalla grande forza emotiva intriso di dolce malinconia, il paragone più spontaneo e immediato fu proprio quello con il gruppo di Mark Eitzel. In questo caso, però, le atmosfere sono maggiormente eteree, dominate dalla splendida voce di Mark Kozelek che con tono intenso racconta storie di amori finiti e vite disperate. L'aspetto che merita maggiore risalto è la straordinaria capacità di Kozelek di scrivere canzoni assolutamente convincenti, un talento prezioso. Musica crepuscolare creata su pochi accordi di chitarra sostenuta da una ritmica essenziale. Un esordio romantico che profuma di piogga e portatore di fertili emozioni.
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Lou Reed: Magic And Loss (Sire/Wea)
La morte è l'oscura protagonista di quest' album-racconto rivolto al ricordo di due amici, Rotten Rita (uno dei bizzarri personaggi della Factory) ed il musicista e scrittore newyorkese Doc Pomus. Tutte le canzoni raccontano i risvolti delle loro tragiche vicende, dicono della difficoltà di accettare l'idea della fine, del difficile rapporto con la malattia. E' l'annuncio addolorato di un disco intimista e affascinante, che rifiuta ogni compromesso per immergersi nel mood di una riflessione inquieta e profonda. Musicalmente Magic & Loss si ricolloca ai due album che l'avevano preceduto, a mezza via fra il rock sobrio e incisivo di New York e alla commovente elegia sonora composta insieme a John Cale in memoria di Andy Warhal  di Songs For Drella.
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R.E.M.: Automatic For The People (Warner Bros)
Michael Stipe e compagni scelgono di andare oltre i loro stessi straordinari trascorsi per cercare conferme assai più sostanziali di quelle dei responsi delle classifiche. Grande musica quella di Automatic.., disco più cupo, umorale e introspettivo, nulla di di paragonabile alla gioiosa e ottimistica leggerezza di Shiny Happy People. Una struggente e lirica escursione nei luoghi della depressione e del malessere esistenziale, un itinerario segnato dai piccoli drammi della quotidianità, ma anche dalla volontà di sopravvivere, dal coraggio e dalla dignità necessari ad opporsi a ciò che è o appare ineluttabile. Melodie morbide e dolci senza mettere a nudo la più piccola vena di stucchevolezza, neanche quando entrano archi e pianoforti, tutto reso toccante da un cantato intenso, ispirato e emozionale.
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 Ride: Going Black Again (Creation, 1992)
Andy Bell e Mark Gardner si incontrarono tra i banchi di Oxford sul finire degli anni 80. Vicini per attitudine a J&MC e MBV, nel 1990 i due finirono, manco a dirlo, alla Creation. Ciuffoni sixties, occhi puntati sul pedale del distorsore, chitarra e voce al medesimo (alto)volume, i Ride furono autori di un rumoroso romanticismo adolescenziale che trovò in Nowhere (uno dei dischi dello shoegazing per eccellenza) un perfetto manifesto. Da quel momento in poi la popolarità della band crebbe a tal punto che dare un seguito convincente ad un album tanto acclamato lasciandosi alle spalle i loro stessi imitatori non era certo impresa facile. Ma tra cavalcate psichedeliche, rimasugli n.wave, armonie byrdsiane, riff chitarristici concentrici e ipnotici e una strizzatina d'occhio ai canovacci del futuro britpop, Going Black Again convinse non poco
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Screaming Trees: Sweet Oblivion (Epic)
Nel corso degli anni la musica degli Screaming Trees ha percorso una parabola per cui le loro elucubrazioni acide hano lentamente assunto la forma di vere canzoni. Uncle Anesthesia era stato un notevole passo in avanti in quella direzione, ma è con Sweet Oblivion che la metamorfosi si completa. Come se le tetre ballate di Mark Lanegan, che tutti abbiamo imparato a conoscere ed amare si fossero già insinuate anche nelle trame musicali della band, stemperando le divagazioni chitarristiche e rendendo più dense e meno monocordi le composizioni. Un lavoro stupendo, con tutti gli ingredienti di un grande disco rock 'n' roll: passione, visceralità, potenza, armonie e, naturalmente, la grande voce di Lanegan. Amen

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Il fratello maggiore di Goo, doppio come il capolavoro Daydream Nation, altrettanto massiccio ed impressionante seppur totalmente diverso: Dirty. Le sensazioni e le pulsioni dell'immancabile e provocatorio terrorismo musicale si mescolano a tratti di avvolgente e sinuoso lirismo. Ancora una volta Thurston Moore, Kim Gordon, Lee Renaldo e Steve Shelley hanno saputo dare una dimensione poetica alla loro cruda e nevrotica visione urbana. Splendide geometrie chitarristiche che stravolgono le strutture primarie del rock'n'roll per ricomporle e rivestirle di nuovi stimoli pop; tenui atmosfere che giocano all'incastro con scheggie rumoristiche in un mosaico di grande intensità; la voce di Kim che guida negli opposti contrasti. E' anche per dischi come questi che i Sonic Youth meritano di essere venerati come i Velvet del ventunesiomo secolo
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Correva proprio l'anno 1992, quando apparvero gli Spiritualized. Messi insieme dall' estro curioso e sperimentale di capitan Jason Pierce, già pilota e corresponsabile, con Sonic Boom, delle narcosi psichedeliche degli Spacement3 nel decennio precedente, licenziarono con Lazer.. un disco assolutamente fuori dal tempo. Invece che rifarsi alla elettricità dominante del grunge, condensarono quasi trent'anni di storia del pop acido inglese in una mistura di canzoni ''manipolate'',  ispirate da un lato dal lavoro in studio di Phil Spector, dall'altro dal minimalismo, amori questi più volte riconosciuti dallo stesso Jason. Anche se fu Ladies And Gentlemen.., il disco del 1997, a rappresentare il vero vertice estremo del sinfonismo estatico degli Spiritualized, Lazer resta un lavoro di rilavante spessore, il primo imprescindibile tassello di una grandissima band.
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Dusk, ovvero crepuscolo. Ancora una volta Matt Johnson scende più che mai nelle viscere dall'animo umano, a partire dalla spettrale introduzione (True Happiness) inequivocabile prologo di un viaggio in cui Matt si muove fra quei fantasmi che si chiamano ossessioni, dubbi, perversioni, paure: ''Non ho mai trovato pace sul petto di una ragazza/ nella religione del mondo/ nel fondo di un bicchiere/ A volte mi sembra che più chiedo, meno ricevo..'' La chitarra complice di Johnny Marr crea ingannevoli cornici di luce a quadri dominati dalle tenebre dell'anima. Tutto è incanto e tormento al tempo stesso, un'esplorazione condotta fra palpiti e riflessi eleganti, essenziali e psicotici blues trafitti da supplichevoli domande: ''Perchè l'amore non tocca il mio cuore come fa la paura?'' Un disco che amo alla follia.
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Boubacar Traore: Kar Kar (Stern's Africa)
Distante dalla popolarità di Ali Farka Toure, Boubakar Traore è un altro dei grandi vecchi del blues maliano. A lungo lontano dalle scene che cavalcò fin dagli anni '60, quando era protagonista di popolari session trasmesse dagli studi di Radio Mali e di un brano, Mali Twist, che lo rese celebre nel suo paese, Kar Kar (come fu chiamato per via dei suoi dribling) fu costretto ad allontanarsi dalla musica che in quegli anni, non essendo lui un griot, non gli avrebbe garantito di che vivere. Dopo una parentesi come calciatore e qualche lavoro improvvisato, quando provò a rilanciarsi come artista fu la perdita dell'amata moglie a destabilizzarlo. Per fortuna poi arrivò la Stern's che pubblicò in europa i due album del ritorno ufficiale e del debutto internazionale: Mariama (91) e, appunto,  questo Kar Kar.



 Tom Waits: Bone Machine (Island)
Canzoni che diventano cartoline dall'inferno del quotidiano, fotografate con tagliente lucidità. Pezzi che gridano il loro dolore dal sottosuolo dell'anima. Ironia e senso di morte dimorano un po' ovunque, in misura inversamente proporzionale alla scheletrica povertà strumentale. Irvin Berlin e Charlie Parker occupano il loro spazio privilegiato nella valigia dei ricordi, il blues dei fondi urbani. I giochi di parole inventati dalla moglie di Tom, Kathleen Brennan, non fanno altro che avvalorare lo stile di un Waits nel pieno della maturità; un musicista che ha lavorato per sottrazione e scarnificato le sue canzoni sino a scoprirne l'ossatura.  ''Non è colpa mia se il sogno americano si è trasformato in un film dell'orrore''
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Ween: Pure Guava (Elektra)
I Ween sono (stati?) una delle espressione più assurde della scena lo-fi americana. I loro dischi, soprattutto quelli pubblicati all'inizio degli anni '90 erano sorprendentemente eclettici e spiazzanti, con un attitudine vicina forse solo ai Butthole Surfers per mancanza apparente di una logica e di uno stile preciso. Pure Guava, in particolare, può essere considerato come uno dei loro lavori più riusciti, dove in mezzo a voci deformate e chitarre deraglianti si fanno strada maniacali tenerezze e ossessive dichiarazioni d'amore; 19 brevi ritratti di inquietudine e amara ironia a metà strada fra divertimento e psicosi. Un disco dolcemente stravagante in cui si passa da un country stravolto a pezzi che potrebbero sembrare sigle per cartoni animati.
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UN SINGOLO
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Nick Cave & Shane MacGowan: What A Wonderful World (Mute)
Era facile prevedere che prima o poi il grande Nick lo avrebbe fatto: interpretare a suo modo quella che non ha mai nascosto essere la sua canzone preferita di sempre, ovvero l'immortale What A Wonderful World di Louis Armstrong. Quello che invece non ci si poteva immaginare è che l'avrebbe cantata in duetto con Mr. Shane MacGowan appena uscito (messo alla porta?) dai Pogues a causa dei suoi seri problemi con l'alcol. Il risulatato è una versione strappalacrime, barcollante ed alcolica (appunto) quanto basta. La misura viene poi colmata sul retro con i due che si scambiano la cortesia interpretando uno un brano dell'altro: rispettivamente Cave rifacendo Rainy Night In Soho e MacGowan una stratosferica Lucy. Da avere! - Da vedere!
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ALTRI TITOLI UTILI ...

 Altri titoli utili ripescati dagli scaffali che avrei potuto (dovuto?) scegliere..

3DS: Helzapoppin (Flyin Nun)  
Afghan Whigs: Congregation (Sub Pop)
Another Sunny Day: London Weekend (Sarah Records)  
Babes In Toyland: Fontanelle (Reprise)  
Barry Adamson: Soul Murder (Mute)
The Bats: Fear Of God (Fluing Nun/Rough Trade)
Beastie Boys: Check Your Head (Capitol)
Beat Happening: You Turn Me On (K/sub Pop)
Bikini Kill & Huggy Bear: Yea Yeah + Our Troubled Youth (Kill Rock Stars)
Bikini Kill: Bikini Kill (Kill Rock Stars)
The Black Crowes: The Southern Harmony.. (Def American)
Blind Mr. Jones: Stereo Musicale (Cherry Red)
The Boo Radleys: Everything's Alright (Creation)
Boogie Down Productions: Sex And Violence (Jive)  
Buffalo Tom: Let Me Come Over (Beggars Banquet)
David Byrne: Uh Oh (Luaka Bop)
John Cale: Fragments Of A Rainy Season (Hannibal)
Cell: Slo Blo (City Slang)
Neneh Cherry: Homebrew (Virgin)
Vic Chesnutt: West Of Rome (Texas Hotel)
The Chills: Soft Bomb (Slash Records)
Leonard Cohen: The Future (Columbia)
Come: Eleven Eleven (Matador/Placebo)
Consolidated: Play More Music (Nettwerk)
The Cure: Wish (Fiction/Elektra) 
Current 93: Thunder Perfect Mind (Dutro)
Dadamah: This Is Not A Dream (Majora) 
The Dead C: Harsh '70s Reality (Siltbreeze) 
Denim: Back In Denim (Boys Own)
Diaframma: Anni Luce (Abraxas) 
Diamanda Galas: The Singer (Mute) 
Drop Nineteens: Delaware (Caroline/Hut)
Bob Dylan: Good As I Been To You (Columbia)
Brian Eno: Nerve Net (Opal Records)
Faith No More: Angel Dust (Slash Records)  
The Fall: Code:Selfish (Ceg Sinister/Fontana)
Future Sound Of London: Accelerator (Jumpin'&Pumpin')
Inner City: Praise (10 Records)
Irresistible Force: Flying High (Rising High)
Joe Henry: Short Man's Room (Mammoth Records)
John Lee Hooker
: Boom Boom (Point Black/Charisma)
Jacob's Mouse
: No Fish Shop Parking (Blithering Idiot)
James
: Seven (Fontana)
Jayhawks
: Hollywood Town Hall (Def American)
The Jesus & Mary Chain
: Honey's Dead (Blanco Y Negro)
Peter Gabriel
: Us (Real World)
Galliano: A Joyful Noise Unto The Creator (Talkin' Loud)
Gang Starr
: Daily Operations (Cooltempo/EMI)
Giant Sand
: Center Of The Universe (Restless/Brake Out)  
Girls Against Boys
: Tropic Of Scorpio (Adult Swim)
Green On Red
: Too Much Fun (China Records)
Inspiral Carpets
: Revenge Of The Goldfish (Mute)
Fela Kuti & Egypt 80: Underground System (Kalakuta R./Stern's)
Kyuss: Blues For The Red Sun (Dali Records)
Ramblin' Jeffrey Lee & Cypress Groove: s/t (New Rose)
The Lemonheads: It's A Shame About Ray (Atlantic)
Los Lobos: Kiko (Slash/London Records)
Lush: Spooky (4AD)
Lyle Lovett: Joshua Judges Ruth (Curb/MCA)
Main: Hydra-Calm (Situation Two)
Mau Mau: Sauta Rabel (Vox Pop/EMI)
Melvins: Lysol (Boner Records)
Ministry: Psalm 69 (Sire/Warner Bros)
The Monkeywrench: Clean As A Broke-Dick Dog (Sub Pop)
Moonshake: Eva Luna (Too Pure)
Morrissey: Your Arsenal  (His Master's Voice/EMI)
Mudhoney: Piece Of Cake (Reprise)
Naked City: Heretic, Jeux Des Dames Cruelles ( Avant)

Nine Inch Nails
: Broken (Interscope/Island)
Nurse With Wound
: Thunder Perfect Mind (United Dairies)
Jim O'Rourke
: Disengage (Staalplaat-2cd)
Painkiller
: Buried Secrets (Earache)
Pale Saints: In Ribbons (4AD)
The Pharcyde: Bizarre Ride II The Pharcyde (Delicious Vinyl)
Phish: A Picture Of Nectar (Elektra) 
Polvo: Cor-Crane Secret (Touch&Go)
PWOG: Ov Biospheres And Sacred Grooves (KK)
Rage Against The Machine: RATM (Epic)
Scorn
: Vae Solis (Earache) 
Shonen Knife
: 712 (Rockville)
Seam
: Headsparks (Homestead)
Sebadoh
: Rocking The Forest/Sebadoh vs Helmet (Domino)
Elliott Sharp
: Beneat The Valley Of The Ultra-Yahoos (Sulphur)
Sloan
: Smeared  (Geffen Records)
The Jon Spencer Blues Explosion
: s/t (Caroline)
Stereolab: Peng! (Too Pure)
Steroid Maximus
: Gondwanaland (Big Cat)
Sugar: Copper Blue (Rykodisc/Creation) 
Swell
: ..Well? (Def American)
They Might Be Giants: Apollo 18 (Elektra)
Thinking Fellers Union Local 282: Mother Of All Saints (Matador)
Throwing Muses: Red Heaven (4AD)
Telescopes: Telescopes (Creation) 
The Vaselines: The Way Of The Vaselines (Sub Pop)
Robert Wyatt: A Short Break (Voiceprint) 
XTC
: Nonsuch (Virgin/Geffen)
Yo La Tengo
: May I Sing With Me (Alias Rec./City Slang)
Neil Young: Harvest Moon (Reprise)
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