sabato 4 dicembre 2010

Monicelli e la mia Somalia


Mario Monicelli (1915-2010)

Non ricordo il colore del cielo. Non me lo ricordo più. So però che quel giorno ho visto Mario Monicelli. 13 Dicembre 2007, un giovedì. Il maestro era venuto all’università Roma Tre insieme all’amico di tante battaglie cinematografiche, Furio Scarpelli. L’occasione? Un dibattito con gli studenti dopo la visione de La Grande Guerra. Non so quando mi sono avvicinata a lui. Non so dove ho trovato il coraggio. Mi premeva dirgli che anche i somali conoscevano e amavano i suoi film. Mi premeva spiegare al maestro che la Somalia, nel bene e nel molto male era un po’ Italia, che a Mogadiscio la gente si guardava i film italiani (o i film di hollywood doppiati in italiano) e che i suoi avevano avuto un gran ruolo anche nella vita dei miei genitori. Credo di essermi presentata al maestro, di aver farfugliato delle cose e poi ho detto in un fiato: «Sono di origine somala». Lui mi ha guardato con i suoi occhi attenti, lucidi e con quella sua voce sicura mi ha detto: «Sono stato in Somalia». E da lì abbiamo cominciato a chiacchierare. C’era stato nel 1939 a seguito di Gino Valori che girava Equatore, uno dei tanti film coloniali dell’epoca. Questo però l’ho scoperto solo dopo. Invece lì, in quell’aula universitaria Mario Monicelli mi ha parlato della mia Somalia. Di quanto era bella, dei suoi mille colori, della generosità della gente. «Mogadiscio sì che era una bella città, ma Chismaio... non era mica un granché». Mi ha fatto ridere. Poi ha fatto una pausa: «È un peccato», ha detto, «che di quella Mogadiscio ora non sia rimasto più niente... che la guerra ha portato tanta distruzione. Gli italiani poi hanno fatto un gran macello». L’ho guardato sbalordita. Era la prima volta che incontravo una persona consapevole del male che l’Italia aveva fatto all’Africa Orientale. Quel 13 Dicembre mi sono sentita compresa. 
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Da: ''Monicelli e la mia Somalia'', un articolo di Igiaba Scego apparso su L'Unità il 30 Dicembre 2010 [fonte]

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