giovedì 4 marzo 2010

The creation of my bloody brit postcards # 4


FELT
1980-1990: UN DECENNIO DI MUSICA


Dieci anni di carriera. Dieci album. Dieci singoli. Un traguardo niente male per i Felt, una band che solo le inspiegabili vicende del caso hanno lasciato ai margini della storia del rock. Le loro qualità fanno sembrare particolarmente ingiusto il destino al quale sono stati abbandonati dalla memoria dei consumatori del pop. Ma la musica basta e parla da sola. E ha talmente tante cose da dire che anche se le canzoni possono prendere in prestito suoni e melodie di altre band (Velvet Underground, Joy Division...), non mancano di caratterizzazzione e riconoscibilità. Un paio di note, una parola e subito li identifichiamo: i Felt sono inconfondibilmente Felt. E' la scelta dei riferimenti, il modo di disporli che sorprende e affascina. Non hanno scritto solo canzoni, i Felt, hanno scritto un modo di essere. Probabilmente è proprio la continua riaffermazione del loro stile musicale, con il periodico ritornare delle stesse cadenze melodiche che più di ogni altra cosa ha generato diffidenza negli ascoltatori più disattenti e superficiali: li hanno accusati di cronica mancanza di idee o adirittura di plagio, tanto che i Felt hanno scritto con sfrontata ironia su un paio di copertine: ''ogni somiglianza con canzoni già scritte è puramente casuale''. Ma non è vero, l'evoluzione musicale dei Felt c'è stata, ma in modo sottile, sulle righe, sfumato in superficie, ma meravigliosamente tangibile in profondità. Che poi è lo stesso modo di maturare dell' adolescnte, attraverso piccoli traumi, magari invisibili dall'esterno, eppure vere e proprie rivoluzioni, indimenticabili e travolgenti. E c'è forse un un'emozione più sincera di quella dell'adolescente? Ecco, Lawrence adolescente lo è sempre stato. Nessuno potrebbe mettere in discussione la sua sincerità apassionata, spalmata di romanticheria, affogata di sogni e ossessioni che inevitabilmente si riflettono nella musica dei Felt (e scusate le divagazioni poetiche, ma sento molto la musica di questo gruppo). Per quanto riguarda la storia dei Felt non la staremo a raccontare. Perchè è come tante altre storie: alcuni ragazzi si incontrano, mettono su una band, vengono scoperti (dal geniale Mike Alway) e si mettono a fare dischi, con onestà.


GLI ANNI DELLA CHERRY RED

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L'album d'esordio si chiama ''Crumbling The Antiseptic Beauty'' (Cherry Red, 1982), sei ballate elettrificate che sono il principio timido e introverso del cammino che li porterà quasi tre anni dopo, al successivo ''The Splendour Of Fear'' (Cherry Red, 1984) dal punto di vista strettamente musicale probabilmente una delle loro opere più valide. Il suono è avvolgente e vellutato con le chitarre divine, a disegnare melodie come onde leggere, e con la voce che appare di rado, sussurrata, emozionata. Tra quei due album un singolo gioiello: ''Penelope Tree'' (Cherry Red, 1983), la canzone scritta da Lawrence e dedicata alla donna dei suoi sogni.


Penelope Tree è il nome di una modella della fine degli anni Sessanta, dalla vita una sottile, l'altra travagliata. Come Twiggy (altra icona di Lawrence) Penelope era magrissima, affascinante, sensuale, ma allo stesso tempo fragile e misteriosa,ipnotica e ambigua, con quel che di strano e indefinibile, che non si riesce a capire se è la figlia del vicino, un angelo o un demonio. Probabilmente un sogno. Il brano rappresenta il classico stile Felt: una melodia d'impatto immediato, suoni puliti e infarciti di preziosismi, Lawrence che alterna parti cantate ad altre quasi parlate, con la voce sempre al punto di rompersi, di commuoversi.



I due album successivi ''Strange Idols Pattern And Other Short Stories'' (Cherry Red, 1984) e ''Ignite The Seven Cannons'' (Cherry Red, 1985) si muovono più o meno in quella direzione (tra gli apici assoluti della loro discografia). Il primo, in particolare, viene considerato da molti come il capolavoro del gruppo ( e canzoni come ''Sunlight Bathed the Golden Glow'',''Spanish House'', ''Vasco de Gama'', ''Dismantled King is off the Throne'', ''Whirlpool Vision of Shame'', ''Crystal Ball'' sembrano confermarlo). La durata dei brani si fa sempre più breve e tutto ciò non è affatto congeniale alla splendida chitarra di Maurice Deebank che ha bisogno di ampi spazi, lunghi periodi musicali per sviluppare fino in fondo il proprio fraseggio. Deebank abbandona quindi la band firmando però un'ultima meraviglia, ''Primitive Painters'', contenuta nel sopra citato ''Ignite The Seven Cannons'' che culmina nel duetto tra Lawrence e Elizabeth Frazer.

''Ero un mendicante / ero di seconda classe / ero un momento passato in fretta / ero il giocatore perso su di te / la pioggia scendeva e il sole irrompeva / il vento sussurrava parole di verità / il mondo è un palcoscenico che ruota attorno a te ...'' (da ''Black Ship In The Harbour'', 1985)

L'Ottantasei rappresenta un importante momento di svolta per i Felt, e in seguito alla dipartita di Deebank, Lawrence diviene autore unico del repertorio della band (fatta eccezzione per alcuni strumentali che portano la firma degli altri componenti della band), ed il posto di ''spalla'' privilegiata viene dato al tastierista Martin Duffy. Il suono della band dunque cambia, così come le strutture delle composizioni: le tastiere (l'organo, il più delle volte) acquistano un ruolo di primissimo piano, con la funzione di ''colorare'' gli arrangiamenti, mentre, come detto, il minutaggio delle canzoni si contrae sempre più.

GLI ANNI DELLA CREATION


Chiuso un capitolo se ne apre un'altro. I Felt lasciano la Cherry Red e si trasferiscono in casa Creation. Subito arriva l'ottimo ep
''Ballad of the Band'' (Creation, 1986) e ''Let The Snakes Crinkle Their Heads To Death'' (Creation, 1986), un album interamente strumentale con la tastiera di Martin Duffy particolarmente in evidenza, che pur essendo (probabilmente) il lavoro più debole nella discografia della band, conserva l'essenza dell'ancora da farsi, che troverà giusta collocazione nell'ottimo ''Forever Breathes The Lonely Word'' (1986, Creation)


''Ero in qualcosa di strano e pericoloso / era rivolto al nulla il modo in cui mi comportavo / mi piacciono quegli scuri e profondi pensieri che ti lasciano sospeso a mezz'aria / e mi piacerebbe farne qualcosa a cui qualcuno farà attenzione ...'' (da ''Hours Of Darkness Have Changed My Mind'', 1987)

Il disco è un tripudio di melodie e di colori irradiati dalle note dell'hammond di Duffy (che ruba la scena alla chitarra dopo la dipartita di Deebank) ed è, probabilmente, la summa del periodo Creation, assieme al successivo ''Poem Of The River'' (Creation, 1987), che contiene i fantastici nove minuti di ''Riding on the Equator'' (un minutaggio atipico, rispetto ai canoni degli ultimi anni) a rivisitare i contenuti visuali e sonori della ballata rock minimale, quella che trova nei Velvet Underground del terzo album il più classico tra i possibili punti di riferimento. Il successivo ''The Pictoral Jackson Review'' (Creation, 1988) si compone in maniera bizzarra: su di un lato (per chi come me possiede il vinile) otto canzoni nel classico stile Felt, dall'altra parte due strumentali, un tantino prolissi, in cui Martin Duffy sfoggia la sua maestria pianistica. Il suono si è fatto ancora più velvettiano, come la voce di Lawrence che ha evidenziato i suoi tratti comuni a Lou Reed, anche per effetto della produzione di Joe Foster, abituale produttore di casa Creation, dichiarato ammiratore dei velluti metropolitani, nonchè energico chitarrista e compositore conosciuto con lo pseudonimo di Slaughter Joe (ottimo l'album All Around My Hobby Horse's Head). Tra i titoli dell'album spiccano il singolo ''Apple Boutique'', ''Under a Pale Light'' e ''How Spook Got Her Man'', un minuto e mezzo di sogno e disincanto, ma nel complesso si tratta di un episodio minore nella produzione dei Felt. ''Io ho detto: dove te ne vai con quell'aureola avvolta attorno alla tua testa dorata / tu hai detto: perchè parlare quando tutto quello che c'era da dire è stato già detto / tu hai detto: le stagioni cambiano e vorrei non cambiassero / tu hai detto: perchè ti porti in giro quello specchio e fissi sempre te stesso / io ho detto: visto che sei da quelle parti potresti prendermi quel vecchio libro sullo scaffale ...'' (da ''Apple Boutique''). Il successivo ''Train Above The City'' (Creation, 1988) è un disco anomalo, nel senso che Lawrence si è limitato a dare il titolo ad ognuna delle composizioni per poi mettersi in disparte e lasciare via libera ai fidi compagni Martin Daffy e Gary Ainge, rispettivamente alle tastiere e alle percussioni, con risultati discreti. L'ultimo capitolo in casa Felt si chiama (titolo curioso) ''Me And A Monkey On The Moon'' (Il lavoro non esce per la Creation, bensì per l'etichetta ''él'' nel 1989) ed è un congedo più che dignitoso, caratterizzato da 10 pezzi ricercati il cui suono ora dolce, ora intenso è completato dalla bella voce di Lawrence avvolta e accompagnata da cori femminili e dagli strumenti suonati con maestria dai componenti del gruppo. Ma le vendite anche in questo caso non aumentano (anzi), e il peso di una vita al margine inizia a farsi sentire. E proprio questa consapevolezza porta Lawrence a mettere la parola fine, a dichiarare quella con i Felt un'esperienza conclusa. Dopo sarà la volta dei Denim, ma questa è un altra storia. 

 ''... Ho creato un suono nuovo e lo hanno lasciato nell'underground, era un colpo di fulmine, ma dissero che non sarebbe durato, negli anni Ottanta. Noi siamo vittime degli anni Ottanta, si tu ed io baby...'' (Denim, da ''A'm Against The Eighties, 1992)



Per concludere: un attenzione particolare andrebbe rivolta anche ai testi delle canzoni dei Felt, incentrati per lo più sui temi dell'amore (pur conservando una spiccata propensione per la metafora), del travolgente bisogno di passione corrisposta, della fatica di crescere. Ed è quì che traspare soprattutto l'indole adolescente di Lawrence, la sua instabilità emotiva, l'abbandonarsi ai propri sentimenti. Chiunque pensi di essere, o sia stato davvero adolescente deve conoscere i dischi dei Felt.

Albums
The Splendour of Fear (Cherry Red, 1984) - [dwl sopra: 2lp in 1]
Compilations
Singoli
• Index (Shangai, 1980) 7''
• Mexican Bandits (Cherry Red, 1984) 7''
 

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