mercoledì 3 marzo 2010

The creation of my bloody brit postcards # 1

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MY BLOODY VALENTINE
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Gli anni passano, ma i My Bloody Valentine continuano ad essere uno dei miei gruppi favoriti di sempre (lo ammetto). Il motivo è molto semplice: credo siano stati una delle band di indie rock inglese più influente degli ultimi due decenni, e non è certo un caso che siano diventati un gruppo di culto, un punto di referimento per molti. Tantissimi, infatti, in tutti i campi, dal rock all'indie alla dance, sono i guppi che o hanno citato o, nel loro stile, si sono dichiaratamente rifatti alla band di Kevin Shields. I perchè di questa (sacrosanta) ossequio per i My Bloody Valentine sono molti. Al di là dell'assoluta originalità della proposta (il modo di suonare la chitarra e di usare gli amplificatori di Kevin era assolutamente innovativo) probabilmente sono diventati un gruppo di culto anche per la loro invisibilità. Come spesso succede, soprattutto nel nostro mondo governato dai media, chi ai media si sottrae (come ha sempre fatto Shields, restio a rilasciare interviste, spesso a causa di una forma di snobismo mai celato) innesca un meccanismo per cui ciò che sei, ciò che fai, diventa segreto poco accessibile, generando attesa e quriosità.
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Ma torniamo alla musica (e che musica!). Sinfonie rumorose potremmo definirle: vestire la canzone, la classica pop song, di rumorismi, di ''muri di suono'', caos e ordine, tristezza e estasi, beatitudine e follia. Ascoltare la pop song in modo diverso, andando a rovistare dietro al frastuono per coglierne la melodia. La formula fin dall'inizio è piaciuta parecchio. Lo dimostrano tutti i gruppi che, nati sulla scia dei My Bloody Valentine, hanno poi dato vita a quella scena definita ''shoegazing'' , guarda un po' nata anch'essa in seguito alla definizione che la stampa inglese diede della band di Shield e compagni (shoegazers, letteralmente ''che si guardano le scarpe'', vennero definiti, per il loro modo di stare sul palco durante i concerti: immobili e a testa bassa). Gli anni passano, ma i dischi dei Valentine non hanno perso nulla della loro brillantezza e originalità, e anzi, possiamo ancora considerarli, nel loro ambito, come i migliori esempi possibili che ci possa capitare. In breve alcuni passaggi della loro discografia.
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Nascondere la pop song o le accelerazioni del rock dietro a un muro di feedbak, dietro distorsioni e alte frequenze quasi inascoltabili. Come detto è sempre stato questo il fine di Kevin Shields. Fin dal 1984, data uficiale di costituzione della band, è chiaro il proposito del gruppo. Reinventare il pop e il rock attraverso un uso ''sperimentale'' della sei corde. This Is Your Bloody Valentine, un mini album che racchiudeva molti brani apparsi qua e là nell'infinita produzione di singoli e ep, era già sintomo chiaro di questa inclinazione, anche se qui il gruppo si muove ancora in territori che fanno venire a galla i loro trascorsi rock'n'roll e garage.

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Dopo due ep (Geek! e The New Record by My Bloody Valentine) e un singolo come Sunny Sundae Smile, la band produce un altro mini album, Ecstasy e un ulteriore singolo (Strawberry Wine) che li avvicina curiosamente alla tradizione garage del rock Usa, senza chiaramente dimenticare di contaminare il tutto con le fragorose melodie delle chitarre.

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You Made Me Realise [ep] (Creation, 1988)

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Arriva il contratto Creation, ma arriva anche Bilinda Butcher, cantante e chitarrista, oltre che girlfriend di Kevin, e il suono si fa più etereo. L'opera di contaminazione va verso il pop rumoroso (l'ep ''You Made Me Realise''). Le melodie costruite da Shields e dalla Butcher con le chitarre, ma soprattutto la voce estatica di Bilinda portano i My Bloody Valentine verso qualcosa di assolutamente inedito (''Isn't Anything''). Ballate rumorose con melodie criptiche, nascoste dietro muri di suono che sono sinfonie elettriche meravigliose. Tempeste di chitarra attorno a cui si avvolge magicamente la malinconia suadente delle pop songs malate di Shields, che da questo momento in poi diventerà uno dei geni incontrastati del rock inglese degli anni '90.
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Dopo alcuni ep (Glider è il più famoso) e i primi flirt con la scena dance inglese (con il grande Andy Weatherall concepirono Soon) i My Bloody Valentine scrivono l'ultimo capitolo firmato dalla band, un disco in cui viene ribadito il posizionamento di Shields & c. in territori pop-sperimentali. Il titolo stesso fa presagire un interesse del gruppo a scrivere love song (un concetto saldamente vicino alla tradizione della pop song) in cui però la matrice contaminante (il rumore, il feedback) e il mood (la malinconia) garantiscono una reinvenzione costante e continua del genere. Un disco che ha segnato un epoca!

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