sabato 31 ottobre 2009

Foto d'epoca

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Disfarmer (Nonesuch, 2009), ultimo lavoro del chitarrista Bill Frisell , è una raccolta di pezzi ispirati alla vita e alle opere di Michael Disfarmer (1884-1959), un fotografo americano che ha documentato il sud rurale degli Stati Uniti prima della seconda guerra mondiale, con una particolare attenzione per gli abitanti di Heber Springs, cittadina dell’Arkansas. Si tratta di ritratti e paesaggi straordinari, in gran parte recuperati insieme a 3000 negativi e migliaia di dollari in contanti dopo la sua morte nel 1959 da Joe Albright, ingegnere in pensione che comprò il suo studio in città. Oggi le immagini di Disfarmer fanno parte della collezione fotografica del Museum of Modern Art e del Metropolitan di New York.

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Alcuni anni fa Chuck Helm, direttore del Wexner Center of the Arts commissionò a Bill Frisell un contributo musicale di sostegno alle immagini e il chitarrista di Baltimora partì per un affascinante viaggio alla ricerca di quel suono che oggi abbiamo il piacere di ascoltare in questo disco, tra brevi ritratti acustici e affreschi dal sapore antico. Disfarmer theme è un limpido valzer dal ritmo lento e gentile, con la chitarra di Frisell accompagnata dal violino e dalla pedal steel guitar, capace di rievocare la vita dei campi, la pesca, e le tradizioni familiari di Haber Spring.
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Accanto ai brani originali, Frisell propone anche delle cover, come i classici Lovesick blues e That's alright, mama. Ascoltatelo (song samples qui) sfogliando il bootleg che accompagna il CD e darete un senso compiuto a questo bel lavoro i recupero della tradizione, che finisce per essere quanto di più moderno possiate immaginare.
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A proposito di foto d'epoca: non pensiate solo a ritratti di famiglia e immagini ufficiali, dove tutti, in posa e con il vestito buono, trasmettono la solennità delle grandi occasioni e delle commemorazioni ufficiali.
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La conferma arriva anche da Black and WTF, un blog che raccoglie tutte le immagini in bianco e nero più assurde di un’epoca ormai lontana. Se è vero che nell’immaginario comune la fotografia in bianco e nero è sempre permeata da un alone di serietà e compostezza, è altresì vero che, come ai nostri tempi, anche in passato non mancavano i buontemponi, i creativi e gli strampalati che decidevano di farsi immortalare in situazioni divertenti e improbabili.

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Il blog ne è ulteriore conferma; surreali, insensate e molto spesso anche inquietanti, le foto in questione ritraggono donne in abiti impensabili, membri del Ku Klux Klan al parco dei divertimenti, bambini in compagnia di animali selvatici, marionette che fanno accapponare la pelle e squadre di basket naziste.

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Concludendo, visto che ci sono, non posso non segnalare Photo Verdeau, una galleria parigina, che raccoglie visibili anche on-line, splendide fotografie d'epoca e stampe originali che documentano soprattutto viaggi affascinanti dal sapore antico ed esotico. Le foto, catalogate per tema o aree geografiche, sono in vendita con un prezzo stabilito, ma si possono anche fare delle offerte, credo. In ogni caso fatevi un giretto, ne vale la pena.
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Il disco perfetto per Halloween


Ho scovato il disco perfetto per Halloween, potete scommeterci. Si tratta dell'album omonimo dei californiani Dead Man's Bones, una delle cose più strampalate e fuori di cranio che vi possa capitare di ascoltare (ma che difficilmente piacerà a tutti). Il disco è uscito (non a caso) in questi giorni per l'ottima Anti Records, (la stessa etichetta dell'ultimo Tom Waits) e ci presenta le comuni passioni dei suoi autori, Zach Shields e Ryan Gosling (che sono, c'è da dirlo, due attori prestati alla musica, e anche abbastanza famosi) per ectoplasmi, mostri, fantasmi, zombie, vampiri ecc, ma anche per la musica indipendente più sgangherata e ''do it yourself''.

Dead Man's Bone

In realtà l'album in questione non avrebbe dovuto essere solo una raccolta di canzoni ma la colonna sonora di un progetto più ambizioso, naufragato per le eccessive spese di produzione: una commedia d’amore e di fantasmi scritta a quattro mani nel 2005 e mai realizzata. Ne esce invece solo il disco, per il quale i due Dead Man's Bones si fanno aiutare dai bambini del coro del conservatorio di Silverlake. Ne esce una sorta di musical marcio, con ballate macabre e nenie funebri, tra ritmiche di un rock'n'roll costantemente pericolante e in bilico e zombie e doo-wops a braccetto con zombie e lupi mannari. Tra le influenze musicali del gruppo vengono citati tanto Beatles e Beach Boys quanto Shags, Shangri-Las, Misfits, Joy Division e Daniel Johnston. Qualcuno ha detto che questo è uno di quei dischi a cui speri decidano di non dare un seguito. Noi invece aspettiamo anche un film, se mai riusciranno a farlo, ma intanto Happy Halloween!





giovedì 29 ottobre 2009

Jazz, A Love Supreme

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Nel mio vecchio Blog (Il nuovo giardino magnetico), avevo dedicato un lungo post alla storia del jazz. All'epoca stavo ascoltando, in quantità davvero importanti, materiali appartenenti a questa splendida pagina della musica afroamericana, allo stesso modo in cui adesso sto togliendo la polvere a molti vecchi vinili di soul music. Sono fatto così, non mi accontento, amo ritornarci su, analizzare, approfondire, emozionarmi una, due, tre, mille volte di più, (ri)scoprire in gusto di nuovi dettagli, di nuove vibrazioni. Ieri con il jazz, oggi soprattutto con la soul music, domani chissà, potrebbe toccare ancora al reggae ( di cui non mi sono occupato abbastanza fino a questo momento nel blog) o al folk del Turzbekistan... Insomma, il piacere della buona musica a tutto tondo. Ma di cosa vi stavo parlando? Ah, si, del vecchio post sul jazz. Ebbene, ho deciso di riproporlo/rimpolparlo e sono andato a ripescarlo in toto per schiaffarlo quasi identico in questo contenitore (anche se notevolmente cambiato da un punto di vista grafico). Intanto il raffreddore continua a perseguitarmi impietoso. Sarà la polvere che sto togliendo dalle copertine di tutti questi eterni capolavori?
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Il Jazz occupa uno spazio importante, oltre che tra i miei scaffali, anche nel mio cuore. Oramai gli anni di felice "fidanzamento" con questa musica mi hanno dato la possibilità e il privilegio non di considerarmi un esperto del genere (sarebbe un atteggiamento davvero troppo presuntuoso pensare di conoscere a fondo la storia di una musica che è allo stesso tempo "epopea" umana, politico-sociale e culturale, e dove per ogni singola pedina che va a comporne la complessa scacchiera sarebbe limitativa un enciclopedia), ma almeno di cogliere via via nuove appassionanti sfumature. Soprattutto mi ha regalato la capacità di far lievitare, in modo esponenziale nel tempo, gli umori e le emozioni derivate e scatenate dal suo ascolto. Una questione di cuore si diceva. Un gioco assolutamente personale (soprattutto nella scelta delle discografie), teso a filtrare i poliedrici aspetti del jazz attraverso un ottica di gusto strettamente soggettivo: colore, passione, rivoluzione, afrocentrismo, esotismo, libertà espressiva, spiritualità..., insomma le prospettive che più mi affascinano di questa musica. Per dirla (concludendo) con il celeberrimo titolo di un brano del mitico Coltrane: indubbiamente A LOVE SUPREME!!!!!
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IL NUOVO GIARDINO MAGNETICO PRESENTA:
50 AUTORI PER UNA DISCOGRAFIA RACCOMANDATA
E IL JAZZ IN PILLOLE

domenica 25 ottobre 2009

Jazz: 50 autori per una discografia

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Il Jazz in pillole: I Pionieri e le grandi città del Jazz

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JAZZ: LA STORIA DI UNA PAROLA
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La storia del jazz è anche la storia di una parola. Noi italiani abbiamo in genere un modo di pronunciarla (gèzz) che spesso stupisce gli americani egli inglesi, provocando strani equivoci; infatti, per questa parola abbiamo adottato la stessa pronuncia di cui gli anglosassoni si servono per parlare degli aerei a reazione : i jets. Jazz, infatti, si pronuncia "giàas", dizione da noi poco diffusa. Ma divagazioni a parte, che significa jazz? Sulle origini di questa parola non si hanno idee molto precise. Molti dicono che sia la correzzione del francese "Jaser" (far rumore, vociare), dato che a New Orleans dove nacque il jazz i francesi e i creoli d'origine francese erano e sono numerosissimi.
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New Orleans, 1900
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C'è invece chi dice che si tratti d'una derivazione dal nome di un suonatore dell' ottocento ormai quasi leggendario. Quel suonatore si chiamava Jess (o Jassbo) Brown. Per altri invece si tratta d'una espressione dialettale congolese che allude all'eccitazione sessuale. Qust'ultima interpretazione darebbe credito a coloro che vedono nel jazz soprattutto una musica dall'accento afrodisiaco. Padre O'Connor, autorevole studioso americano di jazz, naturalmente ha negato questo carattere orgiastico in una musica che a suo gudizio deriva, se pure indirettamente, dal Signore. Padre O'Connor, nell'affermare questo, alludeva evidentemente agli antichi canti popolari afroamericani d'ispirazione religiosa. Gli spirituals e le gospel songs hanno avuto senza dubbio una grande influenza sulla nascita del jazz. Gli spirituals, che furono in realtà dei veri e propri inni di battaglia, anticipano anzi quella che sarà una caratteristica costante (sul piano contenutistico) del primo jazz e del blues: un aspirazione alla libertà e un accorata protesta contro il "padrone" assunto come rappresentante di una classe o di un organizzazzione sfruttatrice.
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Un altro elemento che concorse all'articolazione del nuovo linguaggio musicale fu il trapianto di melodie popolari europee, soprattutto francesi, come marcette, quadriglie, polke e perfino valzer, cantate sui ritmi che gli schiavi neri avevano portato con loro dall'Africa. Ma è proprio tenendo presente questo connubio che l'interpretazione in chiave "oscena" del termine "jazz" può acquistare attendibilità. Questa musica, infatti, veniva suonata soprattutto nelle oltre 200 case di tolleranza di Storyville, il quartiere malfamato di New Orleans, dove avvenivano fatti ritenuti tanto orgiastici da indurre nel 1917 il comandante della guarnigione, su istruzioni pervenute dal dipartimento della marina, a ordinare la chiusura di tutti i locali e ad espellere dalla città 3000 prostitute e tutti i tenutari. Il rozzo militare, senza saperlo, aveva dato l'avvio alla diffusione del jazz per il mondo, perchè i musicisti, dopo il suo provvedimento, rimasero senza lavoro, e se ne andarono a cercare un' occupazione nel Nord, portando la nuova musica in tutti gli Stati Uniti da dove poi si diffuse un pò dovunque, tanto da superare i limiti del folklore musicale americano, ed assumere le proporzioni di un fenomeno che interessa la cultura e il costume di tutto il mondo.
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LE CITTA' DEL JAZZ: NEW ORLEANS, NEW YORK, CHICAGO
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L'esodo dei neri dalle campagne verso le maggiori città degli Stati Uniti ebbe come immediato risltato quello di aumentare considerevolmente la popolazione, e, con un processo più lento, di modificarne i costumi e la cultura. Si può affermare pertanto che il jazz, così come oggi lo concepiamo, nacque in seguito a questa forzata migrazione di grande portata storico-sociale. Tra le città che a questo riguardo rivestono un ruolo fondamentale vi fu, come detto e stradetto, New Orleans, sebbene sarebbe errato pensare che il primo jazz si diffuse soltanto li. Molti grandi musicisti sono infatti nati in altre città degli USA: Duke Ellington nacque a Washington, Fletcher Henderson a Cuthbert in Georgia, William Christopher Handy a Florence nell'Alabama...Tuttavia New Orleans diede i natali ai primi grandi solisti del jazz: Joe King Oliver, Louis Armstrong, Sidney Bechet e moltissimi altri, che, in una fase successiva si videro costretti ad emigrare in varie città statunitensi ma soprattutto a Chicago e a New York; queste due città ebbero il merito di diffondere e consacrare definitivamente in pochi anni il jazz come prima grande, originale espressione di musica americana.
Nei primi decenni del 1900 si affermarono il blues, lo stile New Orleans ad opera dei neri e lo stile Dixieland ad opera dei bianchi, che vissero a New Orleans a stretto contatto con i creatori della musica afroamericana. Inizierà così un lungo e costante scambio che influenzerà entrambe le culture: quella afroamericana sempre più "levigata" dai costumi, dalla logica costruttiva formale e dalla propensione melodica europea; quella europea sempre più conscia dell'assoluta novità del fresco e innovativo linguaggio ritmico-melodico afroamericano e della naturale pratica improvvisativa che sarà del jazz un aspetto fondamentale, anche se non l'unico. Importante anche sottolineare che gli scambi el e reciproche influenze tra le due culture in questo periodo e per lungo tempo non saranno mai alla pari. Una vera coscienza creativa e "istituita" del popolo afroamericano avverrà solo quando il razzismo e le discriminazioni razziali sfoceranno in gravi conflitti sociali e i neri sentiranno il bisogno di affermare se stessi come identità disgiunta dalla popolazione bianca.
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LA GRANDE DEPRESSIONE E KANSAS CITY
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La grande crisi del 1929 seguita al disastroso crollo della borsa di Wall Street mise in ginocchio l'economia americana. In pochi anni i disoccupati arrivarono alla cifra di 12 milioni. Nel 1932 venne eletto il presidente Roosevelt che iniziò un difficile e lungo percorso di interventi statali, il cosidetto New Deal, al fine di riportare il paese verso un economia stabile. Sempre nel 1932 le vendite dei dischi erano scese in picchiata passando dalle 104 milioni di copie vendute ai 6 milioni di copie. Da queste cifre spaventose si può comrendere quale triste destino e quali profondi cambiamenti dovettero subire la musica e i musicisti jazz del periodo. Alcuni grandi leader emigrarono in Europa, altri furono costretti a cambiare mestiere.
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A causa della grande crisi molti locali chiusero i battenti e i pochi rimasti davano lavoro a una stretta cerchia di irriducibili soprattutto musicisti bianchi provenienti da Chicago, che in questo periodo riuscirono a suonare e a registrare qualche produzione "commerciale" che poco aveva da spartire con l'hot jazz degli anni d'oro. Una eccezzione era rappresentata da un personaggio, John Hammond che promosse l'incisione di numerosi dischi destinati al mercato della Gran Bretagna e dell' Europa con i più grandi jazzisti che ancora operavano e soprattutto dalla scena di Kansas City. In perfetta controtendenza Kansas City si proiettò come un'altra grande città del jazz. Situata nel Missouri, in una buona posizione geografica, godette negli anni più bui degli Stati Uniti di uno splendido quanto singolare isolamento. Per certi versi la città ricordava la mitica e peccaminosa New Orleans con il suo quartiere a luci rosse, Storyville. Nei numerosi locali di Kansas City si gestivano i vari traffici leciti e illeciti: gioco d'azzardo, prostituzione, vendita di alcoolici, e si lasciavano i musicisti liberi di suonare la loro musica come meglio credevano.
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Esemplare in questo senso, è la ricostruzione effettuata dal film "Kansas City", appunto, girato da Robert Altman nel 1996, coadiuvato da grandi musicisti di jazz contemporaneo che hanno saputo ricostruire le sonorità e le libere improvvisazioni dei vecchi eroi.
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Le storiche jam sessions in città erano all'ordine del giorno e in particolare i duelli musicali denominati cutting contest ai quali partecipavano grandi musicisti che in seguito scriveranno le pagine più significative dello swing e del jazz classico: le orchestre di Bennie Moten e successivamente di Count Basie, entrambi stabili a Kansas City, Mary Lou Williams, Lester Young, Leon ''Chu'' Berry, Herschel Evans, Coleman Hawkins, Ben Webster e nell'ultimo periodo i giovanissimi Charlie Christian e Charlie Parker.
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UNA DISCOGRAFIA: I PIONIERI E LE GRANDI CITTA' DEL JAZZ
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Count Basie: Superchief [1936-40] (CBS)
Sidney Bechet: Sidney Bechet [1939] (Giants Of Jazz)Sidney Bechet: The Legendary S.B. [1932-41] (RCA Bluebird)
Bix Beiderbecke: Bix And Tram [1927] (CBS)
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Bix Beiderbecke: At The Jazz Band Ball [1924-28] (Asv Living Era)Fletcher Henderson: The Indispensable [1926-36] (RCA)
Earl Hines: Piano Man! [1927-41] (Asv Living Era)
Earl Hines: The Bob Thiele Sessions (RCA)
James 'Price' Johnson: Piano Solos [1921] (Joker)
James 'Price' Johnson: Snowy Morning Blues [1930-44] (Decca)

Jelly Roll Morton: Birth Of The Hot [1926-27] (Victor/RCA Bluebird)

Jelly Roll Morton: J.R.M. [1926-30] (JSP-5cd box)
Joe 'King' Oliver: Dippermouth Blues [1923-30] (Asv Living Era)

Bessie Smith: The Essential B.S. [1923-33] (Columbia/Legacy)
Art Tatum: The Genius Of Art Tatum (Pablo, 1953)

Art Tatum with Ben Webster: Tatum Group Mast. Vol.8 (Pablo, 1956)
Fats Waller: Piano Solos [1927-41] (RCA)
Lester Young: The Complete Aladdin Sessions [1945-48] (Blue Note)
Fats Waller: The Very Best Of F.W. [1926-40] (RCA)

Il Jazz in pillole: L'era Swing

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L' ERA SWING
.In alcuni anni l'America riuscì lentamente a risollevarsi economicamente dalla "grande depressione" grazie anche agli interventi statali promossi dal presidente Roosvelt. Questo periodo di crescita economica e conseguentemente culturale pose così le basi per una nuova epoca della musica afroamericana, l'era swing, che potremmo collocare all'incirca tra il 1935 e il 1945.
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Le patetiche melodie commerciali dei primi anni trenta interpretate da addolcite voci bianche lasciarono il posto alle gloriose orchestre jazz di Duke Ellinghton, Chick Webb, Cab Calloway, Earl Hines, Count Basie, Jimmie Lunceford, Louis Armstrong, Lionel Hampton, Andy Kirk e ancora Tommy e Jimmy Dorsey, Glenn Miller e Woody Herman.
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In questo periodo irrompe la figura di Benny Goodman, un clarinettista bianco che ebbe l'importante merito di colmare una grave lacuna tra i musicisti jazz: fu il primo a iniziare collaborazioni artistiche con i più grandi interpreti di colore. La segregazione razziale, le discriminazioni operate a livello sociale, culturale ed economico in tutto il paese erano ancora una grave realtà in quegli anni come viene tristemente testimoniato nelle autobiografie di Billie Holiday, Miles Davis e Charles Mingus ai quali l'ingresso in certi locali, alberghi e ristoranti era rigorosamente vietato. Benny Goodman, incurante di questi divieti, ingaggiò il pianista di colore Fletcher Henderson che curò per anni i preziosi arrangiamenti per il suo organico.
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L'orchestra di Benny Goodman
.L'orchestra di Goodman formata nel 1934 iniziò una serie di concerti in tutta l'America che lo consacreranno nell'arco di un anno re dello swing. Dal 1935 le sale da ballo in tutti gli Stati Uniti chiamavano e cercavano di accaparrarsi le migliori orchestre del momento, i giovani impazzivano per la nuova musica che finalmente, dopo un periodo di crisi, poteva dar loro nuovamente modo di divertirsi. Le radio diffondevano in tutta l'America la swing music e in poco tempo si affermarono molti grandi ensamble che scriveranno in dieci anni alcune delle pagine tra le più popolari che la musica jazz abbia mai conosciuto. Il jazz, dopo i primi successi dei gruppi New Orleans e Dixieland, attreverserà così un secondo periodo di enorme consenso, radicandosi ancor piùprofondamente nella cultura degli americani. Il Carnegie Hall di New York nel 1938 aprì finalmente le sue classiche e severe porte al jazz e allo swing in occasione di uno storico concerto tenuto da Benny Goodman insieme ad alcuni dei più grandi jazzisti dell'epoca. Siamo pertanto giunti al momento della consacrazione definitiva della musica afroamericana e della sua massima diffusione e popolarità: l'era swing.
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IL NEW ORLEANS REVIVAL
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Il fortunato periodo dell'era swing riporterà alla luce, grazie al lavoro di numerosi studiosi ed appassionati jazzofili, una sorta di prezioso revival dei grandi pionieri del jazz: Jelly Roll Morton, immortalato dalla bibblioteca del Congresso di Washington in una lunga e articolata intervista con annesse registrazioni, Bunk Johnson, ovvero uno dei primi mitici trombettisti attivi a New Orleans, che mai volle farsi registrare nel suo periodo d'oro per il timore di essere copiato nello stile, Pete Johnson, Albert Ammons e Meade Lux Lewis maestri del boogie-woogie pianistico riportati al successo da John Hammond.
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In questo periodo ri revival si formò l'ottima orchestra di Bob Crosby, fratello del più famoso cantante Bing, che offriva un Dixieland orchestrale di efficacie impatto. Questo momento di riscoperta denominato New Orleans revival ebbe il merito di riportare alla ribalta il jazz tradizionale con la partecipazione di vecchi leoni afroamericani ancora operanti e di vari musicisti bianchi, in particolare Muggsy Spanier e gli ensemble di Eddie Condon. Anche Hollywood farà la sua parte dedicando film all'epopea dei musicisti jazz di New Orleans che operavno nel quartiere Storyville, alla loro migrazione verso il nord del paese e alla conseguente divulgazione del jazz in tutte le città d'America. Il titolo originale del film, dove spiccano le figure di Louis Armstrong e Billie Holiday nell'insolita veste di attori, è New Orleans mentre in italiano è diventato La città del jazz. Il film è datato 1946 ed è diretto da Adrian Lubin.
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THE STREETS
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A New York la 52a strada, affollata di piccoli locali nei quali si potevano ascoltare jam session e concerti jazz di grande interesse, venne in poco tempo ribatezzata The Street. Il Jimmy Ryan's, l'Onyx, il Famous Door, l'Hickory House, più tardi il Kelly Stable erano solo alcuni dei numerosi locali che ospitavano per lo più piccole formazioni di swing e di jazz tradizionale. Fats Waller e successivamente Art Tatum stupivano il pubblico e i musicisti della strada del jazz con il loro stile e le loro improvvisazioni pianistiche.
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Nei club della 52a strada inizieranno ad affermarsi anche le prime grandi voci di: 'Lady Day' Billie Holiday, Ella Fitzerald (che dubuttò al Savoy con l'orchestra di Chick Webb), più tardi nei primi anni Quaranta Anita O'Day con l'orchestra di Gene Krupa (il più rappresentativo batterista bianco dell'era swing), e Sara Vaughan, che cantò con le orchestre di Earl Hines e Billy Eckstine. Questi rappresentano solo alcuni dei numerosissimi artisti che ravvivano la scena musicale della strada del jazz.
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LA FINE DELL'ERA SWING
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Nel 1942 con l'ingresso degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale le orchestre swing iniziarono a conoscere un periodo di crisi. Le motivazioni erano molteplici. Oltre alle oggettive difficoltà economiche del periodo bellico, le continue chiamate alle armi dei musicisti decimavano le big band; l'introduzione di un imposta sui locali pari inizialmente al 30% dell'ammontare dell'ingaggio percepito dalle orchestre spinse i gestori a scritturare formazioni sempre più piccole. Nel 1943 il sindacato dei musicisti proclamò uno sciopero a causa del mancato pagamento dei diritti di autore nelle trasmissioni radiofoniche e della diffusione dei dischi promossa dalle case discografiche a discapito dei concerti dal vivo.
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Lo sciopero porterà a un blocco delle registrazioni con la conseguente perdita della musica di quegli anni e il ritardato avvento della nuova frontiera del jazz: il bebop. Le uniche importanti incisioni del periodo sono rappresentate dai cosiddetti V-disc, gli storici 78 giri destinati esclusivamente alle forze armate, distribuiti a milioni tra il 1943 e il 1949 in tutte le basi americane dislocate nel mondo e che, per volere del sindacato dei musicisti, sarebbero stati distrutti dopo la guerra.
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Paradossalmente queste incisiono approdate sul suolo europeo al seguito delle truppe americane sancirono nel vecchio continente una diffusione più capillare del jazz, in particolare dello swing di Benny Goodman, Glenn Miller, Duke Ellinghton, Count Basie. In America, invece, la scomparsa delle big band e il consolidamento di piccole e rivoluzionarie formazioni jazz daranno il via alla svolta moderna del bebop..
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UNA DISCOGRAFIA: THE SWING ERA
(Questa discografia esclude molti nomi /dischi fondamentali perchè sono stati inseriti in quella principale... ''50 autori per una discografia raccomandata, sopra)
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Count Basie Orchestra: The Best Of Early Basie [1937-38] (Decca)
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Cab Calloway: Are You Help to the Jive? [1930-40] (Sbm Special Mkts)

Cab Calloway: Zah Zuh Zah [1931-47] (Proper)
Charlie Christian: The Genius Of Electric Guitar [1939-41] (Columbia)
Benny Goodman: Carnegie Hall Jazz Concert [1938] (Columbia-2cd)
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Lionel Hampton & His Orchestra: Midnight Sun [1946-47] (Decca)
Fletcher Henderson: The Definitive F.H. [1924-40] (Columbia/Legacy)
Woody Herman: The Thundering Herds [1945-47] (Columbia)
The Jimmie Lunceford Orchestra: Stomp It Off [1934] (Decca)
Jimmie Lunceford: Masterpieces [1939-44] (Giant Of Jazz)
Django Reinhardt & S. Grappelli: Swing from Paris [1935-38] (Asv L. Era)
Artie Shaw & His Orchestra: Begin The Beguine [1938-41] (RCA Bluebird)
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Il Jazz in pillole: Il Bebop

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Il popolo nero americano, deportato dall' Africa, inventa una musica nuova, il jazz. Una musica che ha il suo periodo classico negli anni Trenta, nel regno del profitto, del successo, dello spettacolo. Ma nel dopoguerra, stanchi di far soltanto divertire, i giovani jazzisti danno vita a un' avanguardia. Nasce il bebop, che apre la strada al jazz moderno: il jazz perde forse in popolarità, ma diventa un'autentica forma di espressione per un numero crescente di artisti, anche estranei alle sue origini.
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IL BEBOP
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Il secondo conflitto mondiale segna cronologicamente la scomparsa delle big band dell'era swing. Lo sciopero indetto dai sindacati dei musicisti per il quale non vennero effettuate incisioni e che durò circa un anno, dal 1943 al 1944, e il rifiuto dei gestori dei locali da ballo di ingaggiare grosse e costose formazioni furono responsabili della frantumazione delle grandi orchestre in limitati e più agili organici jazz.
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Contemporaneamente e nel corso di pochi anni nacquero piccole e indipendenti case discografiche come Blue Note, Savoy, Dial, Manor, Guilt ecc, che nell'ambito del jazz soppiantarono le grandi case interessate dopo la scomparsa delle grandi orchestre a una musica più decisamente commerciale. Queste piccole etichette favorirono, invece, la diffusione della nuova musica denominata all'inizio rebop e successivamente bebop. Sin all'incirca dal 1940 alcuni musicisti si riunivano a New York fino a tarda notte in un piccolo club della 118a strada: il Minton's Playhouse.
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Monk, Dizzy...
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Budd Powell
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Questo ritrovo divenne in breve una sorta di palestra per gli strumentisti che volevano esprimere più liberamente le loro improvvisazioni con l'accompagnamento della sola sezione ritmica. Kenny Clarke alla batteria, Thelonious Monk al pianoforte e il contrabbassista Nick Fenton fornivano l'accompagnamento ai solisti per le storiche sedute quasi sempre improvvisate dove apparirono in poco tempo svariati musicisti tra i quali Charlie Christian alla chitarra elettrica, Bud Powell e Tadd Dameron giovani pianisti, Dizzy Gillespie alla tromba, un giovane sassofonista che da poco tempo suonava in un locale ad Harlem: Charlie Parker e molti altri.
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Charlie ''Bird'' Parker & Dizzy Gillespie
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Tadd Dameron & Clifford Brown
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A questo gruppo di giovani si aggiungevano nel corso delle infuocate jam sassion notturne i vecchi leoni del jazz come Coleman Hawkins, Art Tatum, Teddy Wilson, Benny Carter...Fu in questa situazione quasi informale che una stretta cerchia di musicisti afroamericani iniziò a rivoluzionare il linguaggio e lo stile dell' improvvisazione e degli strumenti del jazz, sbalordendo così nuovamente i critici e i musicisti bianchi che dello swing avevano da poco compreso e maturato le regole.
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Il Jazz in pillole: Cool Jazz

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IL COOL JAZZ
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L'avvento del bebop sorprese in gran parte la critica e il pubblico americano. Il nuovo stile non si poteva ballare ed era destinato a piccoli club bui e fumosi più che a grandi e scintillanti locali. Le improvvisazioni dei boppers incontrarono l'incondizionato entusiasmo da parte di molti musicisti ma non il consenso del grande pubblico maggiormente attratto da uno stile musicale più melodico e scontato. Nonostante le novità musicali introdotte dal bebop, ben presto i musicisti e i locali che ospitavano la nuova musica risentirono di una certa crisi. Ciò significava inoltre vendere meno dischi e intrattenere sempre meno persone. Come descrive Miles Davis nella sua biografia: "Alla fine degli anni Quaranta era difficile trovare lavoro nei locali; la 52a strada lasciava più posto alle spogliarelliste che ai jazzman". A questo punto il jazz conobbe una reazione per così dire "bianca", ovvero molti musicisti affinarono le geniali innovazioni del bebop levigandone le parti più ruvide. Accostarono alcune concezioni prese dalla musica classica europea (equilibrio sonoro e formule contrappuntistiche) al senso dello swing e dell'improvvisazione tipiche del mondo del jazz con il risultato di riavvicinare al genere buona parte delle persone che non erano riuscite a digerire le infuocate e geniali performance dei musicisti bebop. Questa strada più morbida, meno "arroventata", sicuramente meno arrabbiata del bebop prese il nome di cool jazz. I musicisti che per primi si avvicinarono alle sonorità cool furono numerosi, sia bianchi che neri, e di diversa estrazione geografica e culturale. Il periodo cool jazz, situabile all'incirca tra il 1947 e il 1953, fu sicuramente di breve durata, ma incise profondamente sulla musica afroamericana grazie a numerosi e capaci giovani musicisti che registrarono splendidi album. Il pianista Lennie Tristano insieme a due dei suoi grandi seguaci, Lee Konitz al sax alto e Warne Marsch al sax tenore, due voci vellutate e inconfondibili, rappresentò il caposcuola di un cool jazz molto raffinato, che seguiva la corrente bebop inserendo sfumature legate al mondo musicale classico del barocco, della polifonia, e dello stile contrappuntistico.
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Dall'altra parte dell'America, a San Francisco, il pianista Dave Brubeck, allievo del compositore francese Darius Milhaud, insieme al sassofonista Paul Desmond si inseriscono in questa nuova matrice jazzistica e tracciano l'inizio di un piacevole cool jazz collegato a formule classiche spesso ritmicamente complesse.
A New York alla fine degli anni Quaranta nacque una stretta collaborazione tra artisti di eterogenea estrazione: Miles Davis, proveniente dalla bebop band di Charlie Parker, e Gil Evans, pianista e arrangiatore che aveva appena militato nell'orchestra di Claude Thornhill, realizzarono in collaborazione con il sax baritono di Gerry Mulligan, il sax alto di Lee Konitz e l'apporto di altri grandi musicisti (John Lewis, Max Roach e Kenny Clarke) uno dei primissimi progetti di cool jazz. Lo stesso gruppo inciderà più tardi brani contenuti nell'album "The Birth Of The Cool", ovvero la nascita del cool, una sorta di manifesto che sanciva la definitiva affermazione della nuova musica.
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Nel 1947 l'orchestra di Woody Herman incise una composizione di Jimmy Giuffre, "Four Brothers", dove le voci dei sassofoni caratterizzano forse il prototipo di sonorità cool, grazie soprattutto a Stan Getz e all'inconfondibile voce del suo sax tenore. Nel 1952 il pianista John Lewis fonda il Modern Jazz Quartet, un ambizioso e duraturo progetto per una formazione jazz con sonorità austere ed equilibrate. Sempre nel 1952 ma in California Gerry Mulligan insieme a Chet Baker alla tromba formano un quartetto "pianoless" (cioè senza l'ausilio del pianoforte), che utilizzava lo scarno accompagnamento del contrabbasso e della batteria creando una sonorità asciutta ed essenziale. Il dialogo tematico degli strumenti a fiato veniva talvolta improvvisato creando trame e linee armoniche e melodiche di notevole originalità. Questo sound ci riconduce a Los Angeles e più precisamente a un filone del cool che sarà denominato West Coast Jazz. Infine il clarinettista e sassofonista Jimmy Giuffre presentò a New York nel 1956 un originale trio con il contrabbasso e la tromba rinunciando completamente alla pulsazione della batteria e alla tessitura armonica del pianoforte. Con questa formazione innovativa Giuffre anticipò nel linguaggio e nell'idea musicale molti ensemble che ritroveremo nella musica informale degli anni Sessanta. Per quanto riguarda il jazz orchestrale, le orchestre di Woody Herman e di Stan Kenton furono quelle che meglio si adattarono alle sonorità cool del jazz. Da non dimenticare infine svariati musicisti che iniziarono una luminosa carriera proprio in questo periodo, solo per citarne alcuni: il contrabassista Charles Mingus, i sassofonisti Art Pepper e Bud Shank, il clarinettista Buddy De Franco, i chitarristi Barney Kessel, Tal Farlow e Jim Hall, il vibrafonista Red Norvo, il flautista Buddy Collette.
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Modern Jazz Quartet
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UNA DISCOGRAFIA COOL
(La discografia esclude molti nomi e dischi fondamentali perchè sono stati inseriti nella discografia principale... ''50 autori per una discografia raccomandata, sopra)
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Dave Brubeck Quartet: Time Out (Columbia, 1959)
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Lee Konitz: With Tristano, Marsch And Bauer (Prestige, 1949)Lee Konitz: Subconscious-Lee. (Prestige, 1950)Shelly Manne & His Friends: Swinging Sounds (Contemporary, 1956)The Modern Jazz Quartet: Django (Prestige, 1955)
The Modern Jazz Quartet: Fontessa (Atlantic, 1956)
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Vedi inoltre la discografia Soul Jazz e Latin Jazz degli anni Sessanta.
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Il Jazz in Pillole: L'Hard Bop e il Jazz Modale

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Di fronte ai problemi sollevati dal bop, i musicisti neri della costa atlantica non rimangono affatto inerti. Hanno ormai incorporato il bop nel sound delle grandi orchestre, ne hanno arricchito le forme, dominato il "lessico", padroneggiato i nuovi ritmi. Negli anni Cinquanta scelgono la strada opposta al cool jazz: inaspriscono i toni e attingono alle radici del blues e del gospel per conservare il carattere specifico della musica nera.
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Art Blakey
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L' HARD BOP E IL JAZZ MODALE
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Gli anni Cinquanta aprirono agli Stati Uniti un periodo caratterizzato da un benessere economico relativamente diffuso ma minato da numerose ferite e contraddizioni socio-culturali: la guerra fredda, la guerra con la Corea, la discriminazione razziale in Alabama sfociata nella cosiddetta guerra degli autobus, ovvero uno sciopero attuato dalla gente di colore che si rifiutava di usare i mezzi pubblici per ottenere pari diritti, la caccia alle streghe cioè la ricerca in vari ambienti, soprattutto culturali, di gruppi reazionari comunisti, la protesta pacifica portata avanti da Martin Luther King per far ottenere alla popolazione di colore una piena integrazione razziale. Gli stessi modelli di massa, gli idoli giovanili, riflettevano una certa rabbia, un profondo malessere in una società benestante come l'America. Tra i tanti citiamo James Dean e Marlon Brando. E ancora le proteste letterarie della Beat Generation di Allen Ginsberg, William Borroughs e Gregory Corso, la diffusione di molte religioni orientali come lo zen o il buddismo. La libertà di pensiero veniva compromessa dai mezzi di comunicazione di massa che cercavano, anche a costo di travisare la realtà, di tranquilizzare, normalizzare un epoca di grandi tensioni sociali. Gli artisti dal canto loro cercavano con tutti i mezzi, anche quelli più autodistruttivi, un'espressione originale che li potesse far sentire liberi da questa opressione. Paradossalmente la musica jazz di questo periodo non pare per nulla scalfita da queste problematiche, anzi sembra trarre grande vigore da esse, tant'è che gli anni Cinquanta per il jazz sono un'epoca straordinariamente creativa. I primi anni Cinquanta, come già detto, vedono l'affermazione del cool jazz e del jazz californiano e poco tempo dopo si inserisce il nuovo movimento dell' hard bop ma contemporaneamente i profeti del bop, Charlie Parker con l'orchestra d'archi e Dizzy Gillespie con l'orchestra di jazz afro-cubano, tengono orgogliosamente il passo.
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Nello stesso tempo convivono alcune delle più belle realtà storiche della musica afroamericana: Louis Armstrong e le formazioni di Eddie Condon riscuotono ovunque enorme successo con il jazz "tradizionale"; le orchestre di Duke Ellington e Count Basie rivivono un nuovo, lungo periodo creativo; le grandi cantanti del jazz incidono i loro primi e pultroppo ultimi capolavori, Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan; numerosi solisti storici del periodo swing continuano a sfornare grande dischi di jazz impartendo lezioni ai giovani: Coleman Hawkins, Ben Webster, Benny Carter solo per citarne alcuni. Insomma si può tranquillamente affermare che gli anni cinquanta rappresentano uno dei periodi più interessanti e proficui per iniziare l'ascolto e la conoscenza della musica afroamericana.

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Il breve ma significativo successo del cool jazz e del jazz californiano fino ai primi anni Cinquanta avrà un particolare effetto sui musicisti neri della costa dell'ovest. Dopo un iniziale "stordimento", la risposta risulterà perentoria, a suono di energia ricavata proprio dalle radici musicali della cultura afroamericana: il blues, lo spiritual e il gospel song. Hard bop e funky jazz sono termini che descrivono proprio lo swingare duro, legato alla lezione del bebop ma reso più semplice e levigato grazie alla linearità impartita dai musicisti del cool jazz. New York e i suoi artisti tornano in poco tempo alla ribalta fondendo gli elementi sopraccitati in una musica più spontanea e comunicativa. Di fondamentale importanza in questo periodo è l'invenzione del microsolco, ovvero la possibilità di riprodurre nel nuovo formato di disco a 33 giri brani di lunga durata; questo dà la possibilità ai musicisti di esprimersi più liberamente con lunghi assoli che diventano talvolta veri e propri trattati dello strumento. Il sax tenore diventa una delle voci simbolo dell' hard bop grazie a una ormai grande tradizione continuata da validissimi giovani leoni:
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Sonny Rollins
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Sonny Rollins, Johnny Griffin, Dexter Gordon, John Coltrane, Joe Henderson, Benny Golson, Wayne Shorter. Nel 1953 le gloriose orchestre di Count Basie, Duke Ellington, Dizzy Gillespie e l'ensamble rhythm and blues di Lionel Hampton, come già detto, mietevano ovunque grandi successi. Proprio da quest'ultima formazione uscirono solisti come il giovane trombettista Clifford Brown che in seguito formerà insieme a Max Roach e a Sonny Rollins un grande quintetto.
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Clifford Brown
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Brown, prematuramente scomparso in un incidente automobilistico nel 1956, riuscirà tuttavia a lasciare una profonda influenza sulla nuova giovane generazione di trombettisti come Lee Morgan, Donald Byrd, Booker Little e Freddie Hubbard grazie alle sue straordinarie incisioni in puro stile hard bop.
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Live, 1959 ( Lee Morgan, Art Blakey and The Jazz Messengers,Benny Golson, Bobby Timmons, Jymie Merritt)
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I Jazz Messengers di Art Blakey cominciarono a presentarsi in questo periodo capitanati da Horace Silver al pianoforte che scrisse pregevoli brani ispirati alla tradizione afroamericana come il famoso "The Preacher". Il potente suono batteristico di Art Blakey raggiunse l'apice con una celebre composizione di un pianista di nome Bobby Timmons: "Moanin''.
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Un protagonista di questi anni è ancora una volta Thelonious Monk che improvvisamente viene riscoperto e portato al successo con John Coltrane al Five Spot di New York. Le sue innovative composizioni saranno seguite con grande attenzone da tutti gli hard-boppers del periodo. Il grandissimo contrabbassista e compositore Charles Mingus guida i suoi Jazz Workshops verso un personalissimo recupero del blus diffondendo la musica afroamericana più disparata e promuovendo importanti discussioni sonore e non
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La forte voce blues di Cannonball Adderley al sax alto entusiasma e si inserisce a pieno titolo tra le star dei locali di New York, ed entrerà successivamente insieme a John Coltrane nel grande sestetto di Miles Davis. George Russell, Ahmad Jamal, Bill Evans, John Coltrane e molti altri inizieranno a usare il sistema modale nelle loro composizioni, allargando e rinnovando il senso dell'armonia e degli accordi. La musica con questo nuovo e antico sistema modale arriverà a risultati fino ad allora impensabili, con brani strutturati su pochi (a volte solo due) accordi e su sonorità sospese e indefinite. Analogamente a quanto avvenne con la musica classica di fine '800, con Ravel e Debussy, la tonalità nel jazz di fine anni cinquanta cerca altre strade nella modalità e nella politonalità che sfoceranno ben presto nella completa dissoluzione del sistema tonale e in quello che verrà definito free jazz, new thing o musica informale del jazz dei primi anni Sessanta.
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UNA DISCOGRAFIA: DAL BEBOP ALL' HARD BOP
(La discografia esclude molti nomi e dischi fondamentali perchè sono stati inseriti nella discografia principale... ''50 autori per una discografia raccomandata, sopra).
Gene Ammons: Boss Tenor (Prestige, 1960)
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Clifford Brown & Max Roach: C. Brown & M. Roach (EmArcy, 1954).
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