martedì 29 settembre 2009

Vic

. Vic Chesnutt
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Vic lo ha già fatto, salvarsi l'anima con la musica a spregio dell'handicap fisico che l'ha inchiodato su una sedia a rotelle che era un esuberante diciottenne. Stiamo parlando di uno dei più autenticamente ispirati songwriter americani, che nemmeno le attenzioni di Michael Stipe, suo mentore (e produttore) per lungo tempo, avevano saputo sottrarre dall'ambito di un ristretto culto. ''Sono un malinconico cantautore della Georgia, contea di Pike. Mi sento cittadino del mondo...e spero, un giorno, di possedere una chitarra migliore di quella che ho attualmente'' disse qualche anno fa. Se qua dovremmo dire solo delle novità attuali, ci si permetta almeno un moto d'emozione scaturito dal riascolto (14 dischi alle spalle) di canzoni purissime che conoscevamo già e che oggi, passate cento mode e mille gruppusculi da una botta e via, suonano ancora più pregnanti, più assolute.L'aspra, dolente poesia di Chesnutt ci porta in un microcosmo personale, ma largamente condivisibile, dove la musica lenisce le sofferenze. Sarebbe però eccessivo affermare che la condizione fisica del nostro, come detto costretto sulla sedia a rotelle da anni a causa di un incidente stradale, accentui il dolore, e quindi che la musica assuma un valore terapeutico e catartico nei confronti del suo malessere: le tematiche di Vic sono infatti riconducibili ad una malinconia generalizzata e universale, nella quale chiunque può riconoscersi. Dopo una carriera in solo a cantare il lato oscuro dell'esistenza e numerosissime importanti collaborazioni (quella con i Lambchop in veste di backin band su tutte, ma anche con l'acclamato chitarrista jazz Bill Frisell o con il Carismatico Van Dyke Parks...) arriva la svolta: si chiama ''North Star Desert'' e esce nel 2007 per la gloriosa etichetta di Montreal Constellation, label dedita a un personalissimo percorso artistico attraverso pubblicazioni di taglio post-rock e avant-garde. L'arrivo di Vic Chesnutt alla Constellation è risultato allo stesso tempo una sorpresa e un'ovvia destinazione. Non un cambiamento programmato, ma bensì una evoluzione logica, quasi una necessità vitale. I risultati fecero letteralmente gridare al miracolo, e l'artista compose, forse il miglior album di una discografia già ad altissimi livelli.
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Eppure l'idea iniziale di ''North Star Desert'' è da attribuire a Jem Cohen, filmmaker di Brooklyn (già al lavoro con Sparklehorse, Fugazi, Blonde Redhead e altri) che propose a Chesnutt di registrare all'Hotel2Tango, la base strategica della constellation. Al fianco del cantautore arrivò dunque una pletoria di artisti provenienti da esperienze eterogenee ma collegate, capaci di regalare un mood straordinario a un'opera fuori dal tempo. Ma North Star Desert è innanzi tutto un disco collettivo, perchè fin dal primo ascolto non possono sfuggire i singoli apporti dei musicisti chiamati ad affiancare Vic e Jem: l'impetuoso crescendo dei dei Godspeed You! Black Emperor, il coinvolgente avant-rock degli Hangedup, ma soprattutto la ricercata matrice alt-country dei Silver Mt Zion e le minimali strutture sonore di Frankie Sparo supportati dalla produzione di Guy Picciotto (Fugazi). Le dodici traccie qui raccolte raccontano storie di ''ordinario'' dolore, ma anche di stupore, di passione o di visioni fatte ad occhi aperti; è un disco di sincero songwriting, in cui gioie e patemi sorpassano i limiti strettamente linguistici per esprimersi attraverso stridori di chitarra, incursioni di batteria e adirittura field recordings. Su tutto la voce di Vic Chesnutt, indissolubilmente legata alle radici folk americane ma meravigliosamente chiara quando canta dello splendore della vita. Si va dal Chesnutt canonico in fuga solitaria con l’essenzialità di “Warm” ai primi sentori di distorsione nella successiva “Glossolalia”, dove i violini ricamano lo strazio dei cori, sino al deragliamento impetuoso (ed in crescendo) di una “Everything I Say” in cui la perenne tensione elettrica consuma il cantautorato e l’espiazione epica di goodspediana memoria. Ed è così che il bello e doveroso (torniamo alla scheletricità della ballata con “Fodder On Her Wings” e “Over”) si esalta nel blues inanimato di “Debriefing" (dove Picciotto vive con istinto la sua chitarra), prende piena consapevolezza sfogandosi in un country malefico (“You Are Never Alone”), sussurra ai deserti infiniti (“Rustic City Fathers “) e cerca la luce nell’ipnotismo di “Wallace Stevens”. Eppure, non bastasse ancora, tocca a “Splendid” accogliere l’essenza di quella una volta detta musica di confine, cavalcando veloce verso una meta ben precisa, rintracciabile anche nella straordinaria follia visionaria di “Marathon”.
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2008, arriva una nuova collaborazione, anche in questo caso tanto inattesa quanto meritevole: stavolta tocca ai concittadini Elf Power dare corpo ai versi allucinati e pungenti del songwriter georgiano. Nasce ''Dark Developments'' per Orange Twin. 9 brani fulminanti per fare pace con il soul, il folk, il rock e l’autunno. Ballate, dark novels, stravaganze cantautorali. Operina minore si, ma parentesi degnissima.
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2009: a due anni di distanza da ''North Star Deserter'' l''uomo di Athens torna in casa Constellation per dar vita a un nuovo piccolo capolavoro, ancora una volta supportato a meraviglia dagli stessi musicisti (Guy Picciotto dei Fugazi, e membri di Godspeed You! Black Emperor e Silver Mt. Zion) che contribuirono alla magnificenza di quel disco straordinario, e che anche in questo nuovissimo ''At the cut'' incarnano lo spirito di un collettivo che ha portato l’elettricità a livelli di sublime intimismo. L’album si apre con “Coward” (''il coraggio del codardo, non ne esiste uno più grande....'') uno dei pezzi che suggella la collaborazione tra Chesnutt e il regista-musicista che collabora da tempo anche con i Fugazi, Jem Cohen. Cohen aveva già utilizzato una versione live di “Coward” come sonorizzazione istantanea durante la proiezione del suo “Empires of Tin” al Vienna Film Festival del 2007. L’artwork del Cd di Chesnutt è costituito da una serie di fotografie scattate da Cohen stesso. Mentre l’autore risplende del suo genio, la musica assume il medesimo valore, tra archi, piano, implosioni, minimalismo e stralci acustici in un concetto di orchestrazione che caratterizza tutto il lavoro, dove il collettivo dei musicisti di Montreal e la poesia di Chesnutt si si compenetrano alla perfezione (''Chinaberry Tree''), e dove si alternano citazioni letterarie (Frank Norris, Joseph Roth...) a narrazioni a cuore aperto (il toccante dialogo con la morte di "Flirted With You All My Life'')... Ma in generale il disco trascende qualsiasi definizione o tentativo di classificazione, riesce ad essere una musica dagli effetti indefinibili: risulta difficile anche effettuare una graduatoria gerarchica delle canzoni, e nella loro varietà di atmosfere e suoni ognuna rappresenta una sfaccettatura della sensibilità superiore di Chesnutt. ''At the cut'' possiede una fiamma sonora indubbiamente sublime, gioiosa e allo stesso tempo commossa, ma di sicuro inconfondibile. Gettato nella desolazione attuale è il seme di una speranza futura, troppo emozionale per essere una semplice questione privata.
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domenica 27 settembre 2009

Staff Benda Bilili



Staff Benda Bilili è un gruppo di otto musicisti di strada (paraplegici innamorati di James Brown che si muovono su strane biciclette e vivono intorno allo zoo di kinshasa) nato nel 1999. Nel 2006, in vista delle elezioni nella Repubblica Democratica del Congo, lo Staff ha composto il suo primo singolo di successo: Let's go and vote. Il primo album, Très très fort, è uscito nel marzo di quest'anno per l'etichetta Crammel Disc. A seguire verrà proposto un video introduttivo con immagini incredibili (e musica tratta dal già citato Très très fort) e, più in basso, un magnifico reportage di Yann Plougastel pubblicato quest'anno su Le Monde.

Staff Benda Bilili: guardare oltre le apparenze (di Yann Plougastel*)

Sono poveri e disabili. Di giorno vivono di espedienti e di notte suonano per le strade di Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo. Dieci anni fa hanno creato lo Staff Benda Bilili e oggi cominciano a conoscere il successo. Proponiamo ai lettori un ampio reportage dal cuore dell'Africa, in una metropoli di otto milioni di abitanti, la metà dei quali vive sotto la soglia di povertà e dove 50.000 bambini abbandonati vivono per le strade.

La registrazione notturna del CD «Très très fort» nello zoo di Kinshasa

Tutto lo staff era lì. Quelli che scorrazzano per la città su improbabili motorini Peugeot. Quelli che vanno in giro con delle Yamaha inverosimili tra locali malfamati e rivenditori di sigarette e Coca-Cola. Quelli che vivono per strada e hanno una donna in ogni quartiere, e quelli che non mangiano, ma sono vestiti da gran signori. C'era Ricky col suo berretto di cuoio nero bollito. Koko che sistemava la sua chitarra senza dire niente. Djunana che si divertiva come al solito. E Théo, nascosto dietro un paio di occhiali neri, che canticchiava Bob Marley. A un certo punto Ricky ha urlato: «Staff Benda Bilili!» e il resto della gang ha alzato il pugno gridando: «Très, très fort!» ("forte, fortissimo!"). È come un grido di guerra che somiglia a uno scongiuro e a una ventata di sarcasmo sulla vita di tutti i giorni. Il concerto è cominciato così. L'impianto di amplificazione malridotto sfondava i timpani. Poi rumba e blues, tutta la notte. Negli anni Settanta, ai tempi del suo massimo splendore, quando qui si creava tutta la musica africana, Kinshasa [8 milioni di abitanti, capitale della Repubblica Democratica del Congo, N.d.R.] si trasformava di colpo in kin-kiesse, kin-la-joie, una «roccaforte del buonumore costruita su una notte di risate», come racconta lo scrittore congolese Vincent Lombume Kalimasi. Oggi la città ha detto addio ai tempi delle danze e delle melodie infinite ed è diventata kin-kiadi, kin-la-tristesse, la "città spazzatura". Eravamo a N'Djili, uno dei quartieri più lontani dal centro e tra i più turbolenti della capitale della Repubblica Democratica del Congo. Come ogni domenica sera, lo Staff faceva le prove nel cortile polveroso della Terrasse Gentils-Gentils, una nganda, cioè una sorta di piccolo bistrot all'aperto con tre sedie e due tavoli, dove gli abitanti della città bevono litri di birra Primus. L'articolo 15 della Costituzione Congolese è diventato il motto di una metropoli sull'orlo del baratro: "Arrangiarsi". I membri dello Staff Benda Bilili sono maestri nell'arte di arrangiarsi. Dei "Leonardo da Vinci" della sopravvivenza, dei "Picasso" della vita di espedienti. Con i corpi disarticolati dalla polio, gli arti atrofizzati dalla malattia, vivono per strada da tanto di quel tempo che ormai padroneggiano tutti i codici di questa enorme "corte dei miracoli" di otto milioni di abitanti, un'immensa architettura fatta di marciume e fatiscenza.



Jam con lo staff
 
Durante il giorno i venditori di sigarette di contrabbando filano zigzagando negli ingorghi, tra vigli disorientati che tentano di dirigere il traffico e operai cinesi che fanno di tutto per riparare le strade dissestate dalle piogge e da oltre quarant'anni di pessima amministrazione. Di notte, invece, i mendicanti a bordo di ciclomotori addobbati come degli easy rider dei tropici, chiedono l'elemosina davanti ai ristoranti per bianchi, sempre con la stessa insistenza. Nel tempo che resta loro sono musicisti. E per di più molto bravi. Un anno fa, Damon Albarn, il leader dei Blur, uno dei musicisti più creativi del rock anglosassone, ha potuto sperimentare il loro talento di persona. Era in viaggio nella Repubblica Democratica del Congo con Amadou, il chitarrista e cantante del duo maliano Amadou & Mariam, e con i musicisti dei Massive Attack per la sua associazione Africa Express, nata allo scopo di promuovere la musica africana nel mondo anglosassone. Una sera ha organizzato una jam-session con lo Staff. «È stata una serata meravigliosa, che riassumeva perfettamente lo spirito di Africa Express», ha scritto un giornalista dell'«Independent», che aveva assistito all'incontro. «Alcuni tra i musicisti più apprezzati in Africa e in Occidente suonavano con un'orchestra composta da paraplegici senza fissa dimora. Improvvisata e barcollante, la loro musica era dolorosamente bella». A Kinshasa in ogni casa c'è un musicista. «Qui la realtà è sonora. Kinshasa non si vede, si ascolta», mi ha spiegato una sera Ricky, il capo dello Staff. Ha 57 anni, in un Paese dove la speranza di vita per gli uomini è di 47. Ha un torace da lottatore, uno sguardo da leader e una voce da seduttore. La sua filosofia è: «Sapere quello che significa parlare». Ha sempre vissuto a Kinshasa, ma grazie a suo padre, un soldato originario della città di Kisangani, conosce i ritmi dell'alto Congo. A cinque anni, quando si è ammalato di polio, ha esitato, ma solo per poco. Poi ha deciso che «anche se la vita è dura, non bisogna gettare la spugna, bisogna combattere». La strada è stata la sua scuola: per sfamare la madre e la sua famiglia numerosa, ha imparato a cucire, ad aggiustare, a fare il meccanico. E a fare affari meno ortodossi, come contrabbandare alcol e sigarette introno al Beach, il battello che collega Kinshasa a Brazzaville, sull'altra sponda del fiume Congo, dove ci sono meno tasse e le cose costano meno.



Ricky, il «veterano» dello Staff Benda BililiIl generale Mobutu Sese Seko chiudeva gli occhi su questo traffico illegale. Mobutu governò con il pugno di ferro per più di trent'anni (tra il 1965 e il 1997) e nel 1971 ribattezzò il Paese Zaire. Fu lui a incoraggiare i congolesi che erano stati colpiti duramente dalla vita a creare la Piattaforma, una sorta di sindacato incaricato del reinserimento dei disabili al lavoro e li dispensò dal pagamento delle tasse. Ricky - che è diventato presidente di una delle associazioni che fanno capo alla Piattaforma - al Beach ha incontrato Koko, un'altra forza della natura. 52 anni, sette figli, di professione carpentiere. Ha due spalle da scaricatore dei mercati generali, le braccia larghe come lo Zambesi, le mani grandi come badili che però, lungo un manico di chitarra, si muovono con un'eleganza da gentleman. Perché Koko, quando finisce di partecipare ai campionati di braccio di ferro e di trasformare la sua Peugeot blu in un'opera d'arte, è un grande chitarrista. Leggero, melodico, ispirato, è lui il compositore dello Staff.  



 
Oltre le apparenze
 
Un po' papponi e un po' musicisti, Ricky e Koko non potevano non andare d'accordo. Una decina d'anni fa hanno fondato lo Staff Benda Bilili che in lingala significa "guarda oltre le apparenze". Ma non hanno interrotto i loro traffici. Poi è arrivato Théo, il secondo cantante, fan di James Brown e Bob Marley. Di buona famiglia, Théo è finito sul lastrico con la caduta di Mobutu nel '97. Si è trasformato allora in un "mago dell'elettricità", capace di distribuire la corrente in una città dove non c'è. Uno dopo l'altro, è stata la volta di Djunana, il più allegro, Roger, il più dotato, Kabossé, il più irascibile, Cavalier, il più robusto, Zadis, il più silenzioso. Una "gang di morti di fame", manovali e miserabili da marciapiede, che hanno deciso di conquistare il mondo cantando la loro città. Sporca, scolorita, lebbrosa, caotica, imprevedibile, esibizionista, teatrale, violenta. A Kinshasa non ci sono strade, non c'è acqua né elettricità, non ci sono scuole, trasporti pubblici né fognature, ma gli abitanti si mettono in mostra senza tregua per non scomparire e per cercare di scongiurare questa disgregazione continua. In molte famiglie che vivono nella capitale si mangia una volta ogni due giorni: un giorno i bambini, il giorno dopo gli adulti. Meno del 50 per cento della popolazione ha un salario regolare, più dell'80 per cento è disoccupato e più della metà vive sotto la soglia di povertà e ha meno di 15 anni. Per strada si sente dire: «Kobeta libanga» ("bisogna lavorare duro per guadagnarsi il pane"), ma anche: «Congo ekobonga te» ("Il Congo non uscirà mai dal baratro in cui si trova"). Diventata la più grande città francofona dell'Africa subsahariana per numero di abitanti, Kinshasa ha un tasso di crescita del 6 per cento. Si costruisce a suo piacimento, senza nessun piano regolatore, secondo il gusto dei nuovi venuti, che creano in modo anarchico il loro spazio vitale. Ogni anno servirebbero 200.000 nuove abitazioni.



 
I bambini di Che Guevara

«La città esercita un enorme potere di attrazione», scrive l'organizzazione non governativa Medécins du Monde in un recente rapporto, «e continua ad assorbire le popolazioni rurali a un ritmo sostenuto, ma sembra che qui l'unica cosa che si sviluppi sia il sottosviluppo. Kinshasa è un luogo di esclusione e marginalizzazione. Una bidonville di miseria e analfabetismo». Poco prima dell'indipendenza dal Belgio, nel 1960, quando Kinshasa si chiamava Leopoldville (per i congolesi era Lipopo), in città vivevano 400.000 persone. Dieci anni dopo erano un milione e oggi otto volte di più L'esplosione demografica è aumentata a causa della guerra e dell'insicurezza che regnano a est del Paese e spingono la gente a rifugiarsi nella cpitale. Questo ha causato profondi cambiamenti nella vita sociale: l'erosione della cultura tradizionale, la destabilizzazione della solidarietà tra le comunità e un "salto senza paracaadute" nell'era globale. Il risultato più evidente di questa accelerazione della storia e dell'esplosione della struttura familiare sono gli shegué. Migliaia di bambini abbandonati (se ne contano tra i 30 e i 50.000), che vivono per le strade di Kinshasa. Fanno i lavapiatti nelle bettole, i guardamacchine, i venditori di sacchetti di plastica riempiti di acqua minerale o i borseggiatori, secondo le circostanze, e di notte dormono ovunque sui tonkara (i cartoni in gergo locale). Secondo alcuni, shegué è una contrazione di Che Guevara, perché così si chiamavano i bambini-soldato che facevano parte dell'esercito dell'ex presidente Laurent Désiré Kabila, quando prese il potere nel 1997, rovesciando il regime di Mobutu. Kabila, tra l'altro, aveva conosciuto Che Guevara nel 1965, quando il comandante argentino era venuto in Congo. Secondo altri, invece, shegué è un riferimento ironico all'area Schengen, che ha bloccato l'emigrazione dei congolesi in Europa. Prima di entrare nello Staff, Roger è stato a lungo uno shegué. A sette anni, abbandonato a se stesso per i frequenti ricoveri in ospedale di sua madre, ha seguito una banda di ragazzini che viveva di espedienti intorno al Centro Culturale Vallone di Kinshasa. Roger si ricordava che il nonno, del basso Congo, suonava uno strumento composto da una zucca, un arco e una corda, e ha cercato di crearne uno con quello che aveva a disposizione. Ha preso una scatola di conserva, un pezzo di legno ricurvo e una corda di chitarra. Modificando la tensione della corda con una mano e pizzicandola con l'altra, è riuscito a produrre delle melodie da quell'improbabile bricolage. Aveva appena inventato il satongué, che in un racconto tradizionale per bambini, è il nome di un mago gentile con una sola gamba e un solo braccio. A furia di esercizi e di improvvisazioni sfrenate, Roger è diventato un musicista straordinario.Nel 2005 Ricky ha notato questo ragazzino dallo sguardo perso che, da lontano, inseriva qualche nota sulle loro melodie, quando lo Staff improvvisava un concerto sui marciapiedi del quartiere. Lo ha preso sotto la sua protezione, gli ha insegnato gli accordi, le melodie, i ritmi e in pochissimo tempo Roger ha rivelato un virtuosismo incredibile, capace di suoni fluidi o nevrotici. Quando ha avuto l'idea di elettrificare il suo satongué, sembrava Jimi Hendrix trapiantato al centro dell'equivalente congolese del Buena Vista Social Club.



Buche come laghi
 
Ormai, con la sua unica corda e la scatola di conserva, è un fuoriclasse. Oggi Roger ha 18 anni. Abita in una casa buia e triste in calcestruzzo che si trova nei presi di Kibanga, un quartiere periferico di Kinshasa, dove si arriva con un solo treno o, alla fine del servizio, con dei motociclisti a pagamento. Sulla strada che costeggia la ferrovia, in mezzo a un labirinto di carriole, biciclette e pedoni sfiniti, andiamo a tutta velocità, facendoci spazio a colpi di clacson. Scivoliamo sui sacchetti di plastica e affondiamo dentro pozzanghere grandi come stagni nei tratti in cui la strada è sprofondata a causa della pioggia; «è la regione dei Grandi Laghi», dice scherzando il guidatore.
Tratteniamo il respiro per evitare i miasmi che vengono fuori dalle fognature ostruite e dopo una logorante mezz'ora arriviamo da Roger, che ci aspetta sulla soglia di casa. Deve farsi questa traversata - tre ore in un senso e tre ore nell'altro - quasi tutti i giorni per andare a fare le prove e ne ha le scatole piene. «Non ne posso più di vivere in questo ghetto e di fare la fame. Il Congo è un Paese dove si soffre sempre e io voglio una vita migliore», mi racconta. «Suono per ottenere qualcosa nel futuro. faccio musica senza frontiere, l'international blues. Fare il musicista è un mestiere, non è un gioco. E io voglio diventare direttore artistico». I figli del Congo aspettano che prima o poi Dio o qualcun altro pensi un po' anche a loro. Nel frattempo si arrangiano. Dopo le prove i musicisti siedono in una malewa - un ristorante di strada - a Lemba, nell'est della città, e lì bevono birra e mangiano chikwanga (pasta di manioca avvolta in una foglia di banano) e bruchi bianchi arrostiti vivi. Poi lo staff si separa: Koko raggiunge i suoi figli, Kabossé imbraccia le stampelle, Théo scompare e Ricky ci propone di andare a trovare la sua famiglia che vive lì vicino, al centro di ospitalità per disabili di Kinshasa. In realtà è un hangar miserabile dell'Alto Commissariato dell'ONU per i rifugiati, dove da dieci anni sono ammassate cinquantasette famiglie. L'immobile è in costruzione e delle tegole arancioni pendono dal tetto. I pavimenti sono di terra battuta, l'acqua non c'è e l'elettricità è allacciata "in modo selvaggio". Ognuno delimita il suo spazio con una rete d'incannucciata. Ricky sta lì nei weekend, mentre durante la settimana dorme per strada, al centro di Kinshasa, vicino al banchetto ambulante di sigarette e ghiottonerie. La madre dei suoi tanti figli lo accoglie sarcastica con un «Ricky sei tp (troppo potente), però ora levati dai piedi». Lui con aria fiera ci mostra la sua televisione e i cento canali che riceve via satellite. E soprattutto qui può ascoltare il CD dello Staff che è stato registrato clandestinamente otto mesi fa allo zoo di Kinshasa, tra i cavalli del presidente Joseph Kabila. La loro musica è migliorata nel tempo. Più densa, più blues, più funk e con evidenti ammiccamenti a James Brown. ma c'è sempre quella rabbia ondeggiante e quell'energia assolata che la distingue dalle melodie asettiche interpretate dalle star della musica congolese come Papa Wemba o Koffi Olomide; è più vicina all'incantesimo e alla trance di Wendo Kolosoy e di Franco, i veterani della rumba congolese degli anni Sessanta.



Lo scimpanzé isterico

La fortuna di Ricky e dello Staff è di avere incontrato sulla loro strada Renaud Barret e Florent de La Tulaye, due trentenni francesi, uno fotografo e l'altro pubblicitario, che si sono innamorati dei ritmi della città e del lento e ammaliante ancheggiare delle donne di Kinshasa. Vivono lì da ciqnue anni e hanno fondato insieme la Belle Kinoise, una piccola società di produzione che ha realizzato tra le altre cose un video sulla boxe femminile nella capitale. Florent e Renaud hanno scoperto lo Staff casualmente, per strada, e da allora non hanno smesso di filmare questi ragazzi malridotti ma allegri. Hanno convinto Crammed Disc, un'etichetta indipendente belga specializzata in rock alternativo e musica africana tradizionale-moderna, a ingaggiarli. Vincent Kenis, ex musicista di Papa Wemba e ora produttore artistico a Bruxelles, li ha registrati di notte allo zoo di Kinshasa con un MacBook e un microfono che era stato usato da Jacques Brel... Erano tutti sotto un albero, tra uno scimpanzé isterico, un pitone di 90 anni e un leopardo esausto. I membri dello Staff hanno avuto un anticipo di 7.500 dollari sui loro diritti.


La copertina di ''Trés très fort'', il primo album realizzato dallo Staff Benda Bilili.

Una piccola fortuna, a Kinshasa, che loro - eccentrici ma non matti - si sono affrettati a depositare sul conto dell'Associazione Staff Benda Bilili. Ricky vorrebbe comprarsi una casa per togliere i figli dalla strada e avere un vero locale per le prove. Roger si è comprato una bicicletta per lui e per la sua fidanzata. Koko ha installato un nuovo motore sulla sua Peugeot blu. Qualche giorno dopo, mentre parlavamo di questo, all'ombra di una baracca malandata del banco delle scommesse che sta dietro il centro per disabili, Théo ha tirato fuori un pacchetto di sigarette da una busta dell'Unicef per venderne tre a un tizio che passava. Dopo ha messo i soldi nel sacco, con un grande sorriso sulle labbra. Musicista, di sicuro, ma sempre "uomo d'affari". Poi si è avvicinato un tipo altissimo che vendeva gelati con una cassetta blu sulla testa. da un lato c'era scritto "amore", dall'altro "lecca-lecca". Serge Gainsbourg avrebbe apprezzato [l'artista francese che alla fine degli anni Sessanta compose Je t'aime... moi non plus, N.d.R.]. Invece, nel quartiere di Matongué, c'è un gigante vestito di stracci che va in giro circondato da shegué: è stato lo sparring partnere di Muhammad Ali durante l'incontro di boxe contro George Foreman, combattuto a Kinshasa nel 1974. Dopo un viaggio negli Stati Uniti è impazzito e da allora scrive graffiti incomprensibili, prendendosela con Kabila e Obama. «In Congo, come in tutta l'Africa, sotto la superficie della realtà visibile si è sempre nascosta una seconda realtà invisibile», scrive il sociologo belga Filip de Boeck nel suo formidabile Kinshasa, Tales of the Invisible City. Kinshasa è una città di un altro mondo, un pandemonio sull'orlo del baratro, dove il passato non è solido, ma il presente può ancora offrire qualche certezza. I componenti dello Staff Benda Bilili sono i "cavalieri dell'Apocalisse", che con la chitarra in spalla fanno lo slalom fra le strade e i viali sventrati. A cavallo di motociclette rumorose e fiammeggianti e urlando «Très, très fort».


*Reportage pubblicato da «Le Monde 2», settimanale del quotidiano francese «Le Monde»,
Le pagine ufficiali del gruppo sul web sono
www.crammed.be/staffbendabilili e http://www.myspace.com/staffbendabilili.

giovedì 24 settembre 2009

20 anni di Warp


Nel 1949 il fisico tedesco Werner Meyer-Eppler pubblicò una tesi chiamata Musica elettronica e linguaggio sintetico attraverso la quale presentò qualcosa di veramente nuovo: comporre musica usando esclusivamente suoni prodotti attraverso segnali elettrici. Meyer-Eppler in questo modo aggiornò gli esperimenti di Pierre Schaeffer, scientifico francese che un anno prima aveva iniziato dal suo Estudio Experimental una vera rivoluzione nel campo delle registrazioni: Schaeffer prendeva suoni reali e li distorceva, giocando con loro fino ad ottenere quella che chiamò poi musica concreta. Schaeffer e Meyer-Eppler iniziarono così a concepire una forma distinta di ricomporre e articolare i suoni. 40 anni più tardi a Sheffild, città nel nord dell'Inghilterra con una storia legata all'industria dell'acciaio e luogo consacrato al suono elettronico fin dai giorni di Cabaret Voltaire e Human League, un tale Steve Beckett decise di fondare la Warp Records: la musica d'avanguardia si era allontanata troppo da quello che avevano immaginato quei mitici precursori e visionari dell'elettronica.

Aria di festa quindi in casa Warp, etichetta fondata nel 1989 dal già citato Beckett e dal socio Rob Mitchell con un idea chiara: collocarsi fin dall'inizio come trampolino di lancio del genere, ma anche scommettere fortemente su tutto quello che gira attorno alla musica: disegno, video, e una filosofia d'etichetta, un po' sul modello Motown/Fabric, dove il catalogo discografico (quasi) prevale sull'autore e l'artista è un (quasi) anonimo contribuente della buona riuscita e della crescita del concetto. La Warp dette alla musica elettronica un'immagine e una faccia. Prelevò molti dei suoni undergrond dei rave e, attraverso questi, creò un circuito nuovo, inesistente fino a quel momento. Tramite quella musica prese corpo quella che successivamente fu denominata elettronica intelligente.

''Iniziammo con un piccolo negozio a Sheffild specializzato in rock indipendente e dance. Presto ci rendemmo conto che eravamo parte di un piccolo movimento di musica elettronica e abbiamo voluto entrarci. L'house era appena esplosa e stava per spazzare via tutto'' ricorda Becket in una intervista. E mentre house, grunge e britpop conquistavano il mondo da Sheffild arrivavano segnali di suoni alieni. Ascoltare i primi dischi di Aphex Twin, LFO o Autechre fu come scoprire un nuovo mondo. Nessuono aveva udito qualcosa di simile prima di allora, quella musica non assomigliva a niente: era astratta, ma allo stesso tempo estremamente emozionale. Molti di quei dischi furono masterizzati partendo da suoni preregistrati e incollati, e mischiavano l'ambient di Brian Eno ai suoni dei Kraftwerk con una struttura e una base ritmica simile a quella della techno che proprio in quel momento iniziava a prendere piede dall'altra parte dell'oceano in un altra città prevalentemente industriale: Detroit.

Tuttavia non si può parlare di fenomeno effimero, ma di vera rivoluzione nel costume giovanile, come si è visto con l'andare del tempo. Il repertorio accumulato finora in casa Warp ne è testimonianza eloquente: materiale inciso da gente come i già citati Aphex Twin, LFO e Autechre ha già fatto la storia della musica elettronica. Accanto a questi nomi seminali sarebbe doveroso ricordare i breaks dei Nightmares On Wax, l'astrattismo digitale dei Plaid, l'esoterico drum'n'bass di Squarepusher, il ''lounge-funk'' del finlandese Jimi Tenor, il romanticismo al silicio dei Boards Of Canada e moltissimi altri progetti. La dance come pretesto per accedere a zone di frontiera, insomma. ''Cerchiamo di pubblicare musiche imprevedibili, che possano sorprendere il pubblico. Vorremmo essere come un amico fidato che consiglia buoni dischi'' dichiarò lo stesso Beckett. Se non un successo di massa senz'altro un fenomeno di culto.

La label andò poco a poco crescendo al punto che Beckett e Rob Mitchell riuscirono a trasformarla in un' icona dell'avanguardia elettronica e allo stesso tempo trovarono in tempo di fondare compagnie parallele. La Warp Films, per esempio riunì una serie di video-artisti come Chris Cunningham che attraverso un concetto di rottura e avanguardia fecero interagire musica e immagini in modo totalmente nuovo. Bleep.com, invece, nacque nel Gennaio del 2004 come negozio online dell'etichetta ed è una delle poche webs di questo tipo a non includere, fin dalla sua nascita, la DRM (Digital Rights Management) tra i suoi archivi. Nel 2006 superò il milione di utenti/clienti e proprio quest'anno ha ottenuto il premio come miglior negozio musicale digitale in Gran Bretagna. 

In un catalogo di più di 100 dischi pubblicati in 20 anni Beckett si sbilancia individuandone alcuni che considera opere chiave nella storia della sua etichetta: '' i primi dischi di LFO e Autechre e un album che si chiama Artificial Intelligence, che fu fondamentale perchè ci permise di entrare in contatto con gente che stava producendo musica elettronica astratta, per esempio Aphex Twin, che ci permisero di gettare le basi di quello che sarebbe stata la Warp negli anni a venire''. Se recenti ingaggi di Battle, Maximo Park o Grizzly Bear stanno ampliando le frontiere musicali e aumentando il numero dei fruitori della label, non sono pochi quelli che vedono in questi gruppi di chitarre un possibile lento allontanamento dall'elettronica underground che invece è sempre stata il marchio di fabbrica riconoscibile dell'etichetta di Sheffild.

Per celebrare le due decadi di vita sono stati programmati parecchi eventi nell'arco di tutto l'anno e un box-set (che uscirà il prossimo 5 Ottobre) che raccoglie la crema della storia dell'etichetta: i 20 brani definitivi del catalogo Warp. L'album include 10 incisioni votate dai fans attraverso Internet e altre 10 scelte dallo stesso Beckett. Aphex Twin e la sua Windowlicker aprono una lista di brani di artisti come Autechre, Seefel, Plaid, Boards Of Canada... Il box-set dell'anniversario iclude inoltre un doppio cd di cover di temi della label e un vinile con materiale inedito, e oltre a questo un libro con le copertine di tutti i dischi pubblicati dalla compagnia. Nessun artista prevale rispetto ad un'altro; all'interno della Warp non c'è spazio per i grandi ego come lo stesso Beckett confermò: ''Cerco di mantenere un equilibrio tra il concetto dell'etichetta in sè e quello degli artisti coinvolti. Alcuni come Aphex Twin o i Grizzly Bear sono andati un po' oltre e molta gente li conosce indipendentemente e a prescindere dalla casa discografica, tuttavia aiutamo molti altri a stabilirsi''.

Se la Warp ha segnato un cammino e ha fatto scuola nel campo dell'elettronica, la sua influenza è andata ben oltre fino ad arrivare ad artisti mainstream-rock: dischi come Kid A o Amnesiac dei Radiohead sarebbero stati impensabili senza gli artisti come Plaid, Aphex Twin o Boards of Canada, per esempio, veri pionieri di un suono che ha avuto eco tanto nel pop indipendente quanto nel nuovo rock progressivo. Nessuno sà esattamente cosa potrà succedere negli anni a venire anche se Beckett ci offre, dall'alto della sua grande esperienza, un panorama incoraggiante: ''Quando credi di aver già sentito tutto all'improvviso appare qualcuno con qualcosa di realmente nuovo; l'elettronica è sempre in continua evoluzione''. http://www.warp.net/

lunedì 21 settembre 2009

Note dal sottosuolo: Chet Baker - Let´s get lost


Let´s get lost


Let´s get lost è un documentario del 1988 del regista e fotografo Bruce Weber che narra brillantemente gli ultimi giorni di vita del grande trombettista jazz Chet Baker. Servendosi dei materiali girati durante l'ultimo tour di Baker e delle interviste con lui, con i figli, gli amici, la moglie e le fidanzate, Let´s get lost è un documento esplicito che ci presenta, come un avvertimento, le trappole nelle quali possono cadere personaggi famosi e talentuosi.


Memoria dell'angelo caduto

In Urlatori alla sbarra, commedia musicale del 1960 che evidenziava gli sviluppi dell'emergente culturarock all'italiana nella Roma di quegli anni, il regista Lucio Fulci riuscì a riunure nello stesso tempo il jazzista Chet Baker, Adriano Celentano e Mina, senza che gli si bruciasse la celluloide per saturazione di genio. Celentano e Mina stavano vivendo la prima parte delle loro (gloriose) carriere artistiche, mentre Baker, che aveva lasciato un impronta incancellabile nel mondo del jazz, si incontrò, giusto in quel periodo, in una delle sue prime derive vitali.



In Let's Get Lost, che giusto in questi giorni sta uscendo negli schermi madrileñi e spagnoli in lingua originale con sottotitoli in castigliano (vedi trailer sopra...e in italia?...) sulla cresta dell'onda della versione restaurata e presentata nell'edizione del festival di Cannes del 2008, vengono incluse anche alcune scene di Urlatori alla sbarra che ci permettono di constatare come il musicista sia stato ''catturato'' in modo del tutto differente dai due registi e di come il Chet Baker che disvela la macchina da presa di Weber non sia lo stesso musicista che attraversa i fotogrammi del musicarello di Fulci. La principale differenza stà, nonostante tutto, nello sguardo dell'osservatore: in Urlatori alla sbarra appare un musicista che sembra prossimo al ciglio di un precipizio, mentre Let's Get Lost vuole cogliere l'essenza di un mito, iniziando dalla sua condizione di angelo caduto, di una divinità durante le ultime fasi del suo processo di auto-demolizione. Come scrisse Pauline Kael qualche tempo fa, il documentario di Weber non prende in considerazione (solo) il Chet Baker musicista, ma bensì (e soprattutto) il ''Chet Baker come persona oggettivamente amata, come fascinazione estrema''. Il critico Jonathan Rosenbaum, meno recettivo a gratificazioni di questo tipo parlerebbe direttamente di ''culto alla personalità''. Sia come sia, nella possibilità che Let's Get Lost possa anche sviscerare al profano il segreto dell' assoluta eccellenza artistica del grande musicista, quel che è certo è che il film di Weber ci offre una privilegiata testimonianza diretta della feroce pulsazione tra turbolenza e fragilità che Baker distillò in bellezza eterna.

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Chet Baker canta ''Arrivederci'' di Umberto Bindi

Clues: Clues (Constellation)

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Schivi e sfuggevoli, i Clues sono seguaci di un modo di fare le cose che è tipico della ''vecchia scuola''. Alden Penner (aka Alden Ginger, una terza parte degli Unicorns) e Brendan Reed (ex Arcade Fire e Angles Morts) diedero vita al progetto verso la metà del 2007, mettendo insieme un pugno di prime canzoni accompagnati da altri tre compagni abituali (Ben Borden, Lisa Gamble e Nick Scribner) della scena artistica della città di Montreal, da dove provengono, e da dove iniziarono a presentare la loro musica in lofts e in piccole sale evitando, coscientemente, di annunciare e promuovere troppo i loro concerti. Il gruppo, infatti, desiderava crescere a un ritmo tranquillo, e in un ambiente semi-privato che gli avrebbe permesso di sviluppare, e concretizzare, le proprie idee musicali (un lessico basicamente pop che non esclude linguaggi di radice/matrice post-punk o referenze alla tradizione sperimentale) senza piegarsi alle pressioni di alcuni media costantemente in agguato.
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Due anni dopo quei ''discreti'' inizi, i Clues hanno appena pubblicato il loro omonimo splendido album di debutto, uscito, non a caso per l'eccellente Constellation, focolaio illustre e punto di riferimento discografico per la maggior parte degli ''avventurieri'' underground della città di Montreal, del Canada, e non solo. Per quanto riguarda la musica, la maestria e l’astuzia della band sta tutta nel saper miscelare gli ingredienti. Ne viene fuori un gioiellino brillante, un’opera in bilico fra aggressività e delicatezza, dolore ed ironia, nostalgia e speranza. Un disco leggero ma pieno di contenuti, che suona spensierato facendo fulcro nel profondo. Tra spigoli post-punk a carezze pop-folk, spesso anche all’interno di uno stesso brano, i Clues ci hanno forse regalato il miglior esordio dell'anno, nonchè uno dei dischi più belli degli ultimi mesi.
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In Rete
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Cold Cave: Love Come Close (Matador)

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Se bands come Wavves, Dum Dum Boys, Cause Co-Motion o Times New Viking si sono guadagnati gli elogi di stampa e pubblico ''accartocciando'' un paio (non di più) di melodie e riducendole a una nuvola leggera di fuzz e rumori metallici, perchè non potrei raggiungere io gli stessi risultati con le tastiere? Qualcosa del genere potrebbe esserlo chiesto Wesley Eisold non più di un anno e mezzo fa, prima di togliere definitivamente la povere accumulata sopra ai suoi sintetizzatori come punto di partenza per Cold Cave, progetto in chiave lo-fi-pop-sintetico con propositi sonici retro-paranoici, che potrebbe convertirsi in uno dei nuovi hypes dell'attuale, bellicosa scena indie nordamericana. Ma come è vero che gli uni e gli altri condividono molto (militanza D.I.Y, un misto di arroganza e indifferenza tipico del gusto hipster, santificazione della bassa fedeltà) è altresì vero che i riferimenti diretti sono molto diversi: se queste bands di chitarre sono eredi spirituali di Black Tambourine, The Vaselines, o Henry's Dress, la proposta di Cold Cave si guarda nello stesso specchio di Joy Division, (primi) New Order, D.A.F., Soft Cell ecc; se quelli esprimono una stretta parentela tanto con la vecchia scuola C-86 britannica, quanto con la scena garage di un' Olimpia dedita, a reinventarsi, nella scorsa decade, la calligrafia di Beat Happening e della k Records in una e mille direzioni, Eisold e soci preferiscono il sinth-pop, la darkwave, il noise digitale o la EBM primigenia come basi sopra cui costruire alcune liriche trasgressive che puntano, con ironia, a forme di esistenzialismo obliquo.
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La scorsa primavera l'etichetta Hospital Productions riunì in ''Cremations'' venti brani recuperati da EPs e demo, canzoni registrate con pochi mezzi (ci sono brani come ''I've Seen the Future And Is Not A Place For Me'' o ''An Understanding'', che suonano così male che sembrano registrate direttamente con un telefono cellulare) dal solo Eisold e che oscillano tra il synth-pop freddo e devastato a base di distorsioni abrasive di ''Sex Ads'', e il noise crepuscolare di ''Always Someone'', il technopop gotico di ''Gates''e gli spiritati ambienti elettronici (hautology, direbbero alcuni) di ''Roman Skirts'' o ''E Dreams''.
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In questo nuovo ''Love Come Close''(Matador), il suo primo album ufficiale, Eisold si fa aiutare da Caralee McElroy (ex Xiu Xiu), Dominick Fernow (aka Prurient), J. Benoit e lo scrittore Max G. Morton (copropietario assieme allo stesso Eisold della casa editrice Heatworm Press) per partorire una decina scarsa di canzoni che mirano a terreni molto meno trasgressivi, meno paranoici e decisamente più luminosi e apertamente pop. L'ombra scura e atterrita dei Joy Division (ancora un po' evidente in brani come ''Cebe and Me'' o ''Love Comes Close'') lascia il posto all' immagine (un po') più radiante che fu di gruppi come i primi New Order o dei Depeche Mode più insani e pervertiti, e si riflette in perle di electropop agridolce come ''Youth and Lust''... Niente di veramente nuovo, insomma, anche se la formula di questo ''Love Comes Close'' seduce fino al punto di farsi amare senza fatica. Caldamente consigliato a tutti coloro che vedono nei suoni dei primi anni 80 il loro phanteon di riferimento, ma anche agli amanti della buona musica a prescindere da mode, stili o epoche.
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In Rete
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Il ''Dopo Berlusconi''

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Domani atterrerò a Venezia con un areo proveniente da Madrid. Uno degli aspetti positivi della faccenda stà nel fatto che per un po' di tempo non dovrò sorbirmi la ricorrente, pedante domanda: ''Ma come avete potuto votarlo (Berlusconi)?''. E soprattutto: come rispondere senza infangare una larghissima fetta di elettori e connazionali che hanno premiato il Cavaliere in sede elettorale? Intanto da queste parti (ma in generale in tutta Europa e in gran parte del mondo) i giornali continuano a bombardare di brutto la nostra credibilità politico-sociale, ma allo stesso tempo (e meno male) sembra si stiano rendendo conto che anche nel vecchio stivale (seppur lentissimamente e al prezzo di parecchie scuciture) qualcosa si stà finalmente muovendo. Da questo punto di vista il titolo comparso su El Pais di domenica scorsa è molto eloquente:"L'Italia inizia a preparare il ''dopo Berlusconi''. Una lunga corrispondenza con Roma palesa le convinzioni oramai sempre più consolidate del quotidiano spagnolo sul tramonto lento ma inesorabile del Premier "che il declino di Berlusconi sia evidente, non ne dubita nessuno, in Italia e soprattutto fuori'', prosegue infatti l'articolo di Miguel Mora corrispondente in Italia de "El País", appunto (lo stesso giornalista che 10 giorni fa nel vertice italo-spagnolo chiese a Berlusconi, senza peli sulla lingua - e davanti a un imbarazzato Zapatero - dello scandalo delle escort, se ciò potesse comportare un eventuale danno al Paese e se non fosse meglio a questo punto ''rassegnare le dimissioni'').
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Chi fosse interessato all'articolo (Italia empieza a preparar el 'día después' de Berlusconi), puo' leggerlo integralmente tradotto dal sottoscritto qui in basso.
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L'articolo
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Giovedì scorso, durante il programma di dibattito politico Ballarò di RAI3, chiesero al ministro dell' Economia Giulio Tremonti - nonchè possibile successore di Silvio Berlusconi come futuro lider del Popolo della Libertà (PDL) - di elencare i successi del primo ministro italiano in questo anno e mezzo di legislatura. Tradito dall'incoscenza o, chissà, dalla vanità, Tremonti elogiò a lungo la sua personale ''brillante e prudente'' politica economica, evitando qualsiasi riferimento diretto al proprio capo. Il presentatore, Giovanni Floris, resse stoico e alla fine apostrofò con ironia: ''Così dobbiamo intendere che l'unica cosa buona fatta dal Presidente Berlusconi fino adasso è stata nominare lei''
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Questo aneddoto è l'espressione del clima politico che si sta vivendo in questo momento in Italia. 18 mesi dopo aver vinto le elezioni con un ampia maggioranza di voto, e con una opposizzione ridotta a un giocattolo rotto, neppune i propri ministri osano più difendere pubblicamente il capo del Governo, e alcuni preferiscono auto-promuoversi per il futuro immediato, il post-berlusconismo. Ma quanto sarà immediato questo passaggio? Questo è il grande dubbio. Il tran tran della rottura nella coalizione di governo; la formazione di nuove alleanze più o meno affidabili, il timore che tuttavia l'inchiesta di Bari distilli nuovi fanghi, la tortuosa relazione Stato-Chiesa e la delicata situazione economica generano rompicapi ossessivi, e nessuno sà come Berlusconi potrà reggere altri quattro anni questa burrasca in piena regola. L'ex giudice Antonio Di Pietro, lider dell'Italia dei Valori, pronosticò tenebroso venerdì scorso che ''l'implosione è vicina, e Berlusconi cadrà come Saddam Hussein, alzando il dito e fingendo che non stia accadendo nulla''. All'invettiva replicò ieri il ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, socialista berlusconiano, che accusò l' ''élite di merda della sinistra cattiva, parassitaria, burocrata e editoriale'' di star ''preparando un golpe di Stato''. Che il declino di Berlusconi sia evidente, non ne dubita nessuno, in Italia e soprattutto fuori, se ecludiamo, chissà, il suo ''cordiale amico'' spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero. Da quando sua moglie, Veronica Lario, denunciò al mondo le sue ossessive abitudini sessuali con prostitute e veline, alcune di queste promosse a candidate del partito, il declino e il nervosismo del primo ministro non hanno fatto altro che crescere esponenzialmente. ''E' iniziata la fase finale del berlusconismo'' commenta Giulio Anselmi, presidente dell'agenzia Ansa. ''I sondaggi mostrano che l'idillio con gli italiani si e' sgonfiato, forse anche perché adesso sappiamo che gli stranieri pensano che noi italiani siamo pazzi. Il problema'', aggiunge, ''é che nessuno può dire con esattezza quanto durerà questa fase''.
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Nonostante Berlusconi, ''torero senza paura'', sembra disposto a morire ammazzando, il terzo campanello d'allarme é risuonato proprio nel suo terreno favorito, la televisione: il programma della RAI, Porta a Porta, del suo amico Bruno Vespa, disegnato apposta per riprendere l'iniziativa con il suo tema più popolare, il terremoto dell'Aquila, fece registrare questa settimana uno squallido 13,5% di audience che induce a pensare che moltissimi elettori si sono stancati del ''migliore primo ministro in 150 anni di storia del paese''. Da Ottobre, Berlusconi ha perso 21 punti nei sondaggi, ma il declino non si spiega solo con la miscela di gonne e affari di un nonno di 72 anni: molti italiani sorridono e altri, come dice egli stesso, lo invidiano. Domenico Riganò, pensionato di 82 anni, lo spiega così: ''I miei compaesani preferiscono la democrazia alla dittatura perché con la democrazia possono scegliere tra due padroni''. Tuttavia gli elettori alle urne chiesero stabilità, e per questo ora si sentono traditi dall'acuta divisione interna apertasi nella destra, soprattutto a causa degli attacchi de Il Giornale, quotidiano di proprietà della famiglia Berlusconi, contro i critici in teoria più affini, specialmente Dino Boffo, ex direttore del diario episcopale Avvenire, e Gianfranco Fini, cofondatore del PDL e presidente della Cameradei Deputati. Fini, vecchio principe postfascista riconvertitosi in difensore di una politica laica, decente e per nulla populista, ha frenato l'urto e i colpi di una Lega Nord ogni giorno sempre più agressiva, manovrando riunendosi spesso con Pierferdinando Casini, lider dei democristiani, e con Francesco Rutelli, centrista cattolico nelle fila del Partito Democratico e promuovendo una lettera firmata da 50 parlamentari (ex membri di Alleanza Nazionale) in cui si invita urgentemente Berlusconi ad affrontare un serio dibattito interno.
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La libertà di stampa si è trasformata in un altro cruciale cavallo di battaglia. Giulio Anselmi era il direttore de La Stampa, il quotidiano della FIAT. Lo congedarono in Marzo dopo che Berlusconi disse che tanto lui come Paolo Mieli - pure congedato dal Corriere della Sera - dovevano cambiare mestiere. ''La sensibilita' degli italiani verso la liberta' di stampa'' spiega Anselmi ''e' sempre stata scarsa. Pero' oggi stiamo vivendo la situazione di maggiore tensione che io ricordi': se i suoi attacchi contro la stampa avessero avuto luogo negli Usa o in Inghilterra ci sarebbe stata una rivoluzione. Allo stesso tempo'', riflette, ''non esiste un'alternativa chiara di Governo, ne all'interno del suo partito ne all'opposizione, e questo fa pensare che, se non insorgono nuovi problemi di carattere personale, Berlusconi porterà a termine la propria legislatura''. Non sembra facile. Infatti nemmeno la sua situazione internazionale risulta delle migliori, come indicano le dichiarazioni del nuovo ambasciatore statunitense, David Thorne, riguardo l' ''eccessiva dipendenza energetica dell'Italia'', che alcuni analisti hanno letto come un' ammonimento a Berlusconi circa le sue pericolose relazioni con il russo Vladímir Putin e il libico Muammar el Gaddafi.
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Il fianco meno temibile sembra essere pardossalmente quello dell'opposizione, che già prima dell'estate intraprese un interminabile cammino che lo porterà fino al congresso del Partito Democratico, e che terminerà a fine Ottobre con l'elezione del nuovo segretario generale. Concorrono Pier Luigi Bersani, ex comunista; Dario Franceschini, ex democristiano, e Ignazio Marino, uno sconosciuto. Per adesso sembra che Bersani sia il più accreditato; poi mancherà, come dice lo scrittore Andrea Camilleri, ''che la crema degli ex comunisti amoreggi con l'Opus Dei''.
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L'Italia è un teatro imprevedibile dove può succedere di tutto. I giudici giocheranno le loro carte nelle prossime settimane. E le notizie che arrivano da Bari sono ogni volta peggiori. Gianpaolo Tarantini, reclutatore per alcuni mesi, di prostitute e veline per le feste del primo ministro, è stato incarcerato venerdì con l'accusa di traffico di droga. I giudici credono che portò ''chili e chili'' di cocaina - oltre a molte pastiglie d'exstasi - in Sardegna nell'Agosto del 2008, quando conobbe Berlusconi a Villa Certosa, e sospettano che la comprò direttamente alla mafia. Tarantini trascorse almeno 18 notti con Berlusconi, e i due si parlavano spessissimo per telefono.
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Inoltre, il Tribunale Costituzionale deciderà il 6 Ottobre se il Lodo Alfano, la legge d'impunità approvata a favore del Cavaliere per scappare dai processi pendenti e da quelli che verranno, è costituzionale o no. Se non lo fosse, come ha avvertito la avvocatura dello Stato, ''non godrebbe della sufficente tranquillità per governare''.
Miguel Mora, El Pais (20-09-2009)

Trickymix 03: Funkadelic Groovallegiance

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Side A
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SHUGGIE OTIS
''Aht Uh Mi Hed''

taken from the album:
''Inspiration Information'' (CBS, 1974)
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BOOTSY COLLINS
I'd Rather Be With You

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taken from the album:
''Stretchin' Out in Bootsy's Rubber Band'' (Wea, 1976)
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SLY & THE FAMILY STONE
''It's A Family Affair''
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taken from the album:
''There's A Riot Goin' On'' (Epic, 1971)

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FUNKADELIC
''Groovallegiance''

taken from the album:
''One Nation Under A Groove'' (Warner Bros, 1978)
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PARLIAMENT
''Unfunky Ufo''

taken from the album:
''Mothership Connection'' (Casablanca 1975)
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KOOL AND THE GANG
''Jungle Boogie''

taken from the single:
''Jungle Boogie / North, East, South, West'' (De-Lite, Polydor, 1977)
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Side B
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THE TEMPTATIONS
''Psychedelic Shack''

taken from the album:
''Psychedelic Shack'' (Gordy, 1970)

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BAR-KAYS
Son Of Shaft

taken from the single:
''Sang And Dance / Son Of Shaft'' (Volt-Stax, 1971)
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THE ISLEY BROTHERS
''That Lady''

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taken from the album:
''-3+3'' (T-Nek, Epic, 1973)
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CURTIS MAYFIELD
''Freddie's Dead''

taken from the album:
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THE JIMMY CASTOR BUNCH
''It's Just Begun''
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taken from the album:
''It's Just Begun'' (RCA-Victor, 1972)
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THE TEMPTATIONS
''Papa Was A Rolling Stone''

taken from the album:
''All Directions'' (Gordy-Motown, 1972)


Sensacional Soul Vol. 2: 32 Groovy Spanish Soul & Funk Stompers 1965-1972

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Se negli anni sessanta Londra era swinging, Barcellona, Valencia e Mallorca non erano da meno, come dimostra il secondo volume di questa serie dedicata alle band spagnole di soul, rhythm & blues di quegli anni. Dopo il grandioso Vol.1 (che contava tra le sue fila bands come Frank Miller & Hispania Soul, Los Gritos, Los Pekeniques, Salvajes ecc), ''Sensacional Soul Vol. 2 - 32 Groovy Spanish Soul & Funk Stompers 1965-1972'' ci regala in 2 cd (e 32 brani) un' altra botta di groove-soul-funk prodotto in Spagna dal 1965 al 1972 che è pura dinamite. Esclusi i Los Bravos, rappresentanti di un ottimo pezzo rocksteady Rudi's in Love, le altre band dell'album erano e restano sconosciute fuori dalla Spagna. La dittatura franchista aveva costretto la nazione a sottostare ad una rigida autarchia, che nella musica significava pochi mezzi e soprattutto un rigido controllo della censura, oltre all'ovvia difficoltà di uscire dai circuiti nazionali. Molti artisti comunque osarono nuovi generi, contando anche sulla grande ignoranza dei censori, per cui in questa raccolta si possono sentire episodi di freakbeat soul, r&b, psycho - pop, o addirittura reggae come nel caso dei già citati Los Bravos. Tra i brani migliori c'è una cover di Hey bunny, hit del 1968 di John Fred & His Playboys Band, ripresa dai Los Gatos Negros in apertura: hammond in primo piano, batteia serratissima, fiati assordanti e un cantato molto potente, ma tutto il disco gira ad altissimi livelli con episodi "febbrili" al confine funkadelico : ci sono anche una versione quasi frat, grezza e veloce di Higher And Higher di Jackie Wilson ripresa dagli Ossie Lane e un ottimo pezzo strumentale di Chus Martinez nella scia del mod jazz di Mongo Santamaria. La resa sonora del volume è a dir poco eccezionale, tutti gli strumenti di ottone escono grassi e rotondi, i bassi fanno tremare il pavimento e le batterie sono assolutamente ossessive e senza alcuna pausa. Quando è proprio il caso di dire: sensacional chicos!. Per finire un consiglio: occhio alla Vampisoul , ottima label iberica che grazie ad un invidiabile catalogo internazionale (all'insegna di soul, r&b, funky, bogaloo, latin jazz...a go-go) diverte e fa ballare con ironia ed eleganza ripescando da un passato mitologico una serie di tracce davvero oscure e supergroovy.
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La scaletta dei 32 brani
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Disc 1
01 Los Gatos Negros - Hey, Hey Bunny (nel player)

02 Jae Soul - Sintonía En Soul
03 Los Albas - Bugulú (nel player)
04 Conjunto Brilliants - Las Bellas Ilusiones

05 Karlo Y Su Conjunto - Abandonado
06 Go-Go’s - Tu Lo Tienes, Mi Amor

07 Chus Martínez - Soul 2
08 Ossie Lane - Higher & Higher (nel player)
09 Los Bravos - Rudy's In Love
10 Los 4 Monedas - Perdóname
11 Los Roberts - El Saltamontes

12 Gino - La Vida Es Un Juego De Azar
13 La Nueva Banda De Santisteban - Limón Y Sal

14 Henry C Martin - Donkey
15 Los Brisks - Stone Free

16 Los Rollers - Camino Cortado
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 Disc 2
01 Los Kifers - El Sol Es Una Droga (nel player)
02 Henry - Lo Que Puede Ocurrir Con El Café
03 Los Pops - No, No, No (nel player)

04 Lone Star - La Máquina Infernal (nel player)
05 Conexion - I Don't Know What To Do (nel player)

06 Evolution - I'm Walkin' High 
07 Wagon - Para Siempre
08 Pekenikes - Polución 

09 Ross - Yeah!
10 Manolo Y Ramón - Lágrimas, Sonrisas

11 Joe Cogra Group - Darkness 
12 Ritmo Pilé - Pilé Beat
13 Peter Soto - Boom Boom
14 Los Talismanes - East Side Story (nel payer)

15 Los 5 Diablos - El Fuego
16 Alex Y Los Findes - Es Mejor Dejarlo Como Está
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