mercoledì 3 dicembre 2008

Il mondo perduto

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Devo ammettere che il mio fratellone sta facendo degli acquisti eccellenti. Così, dopo l'ultimo capolavoro di Gipi (il suo fumetto LMVDM -La mia vita disegnata male- uscito da poco, a cui magari dedicherò prossimamente un post di approfondimento) ho visto materializzarsi magicamente sopra la sua scrivania un' altro splendido oggetto: Il mondo perduto - I cortometraggi di Vittorio De Seta 1954-1959. Si tatta di un prezioso DVD, contenuto in una confezione cartonata e accompagnato da un libro. Edito dalla Feltrinelli (e uscito quest'anno) per la serie Real Cinema in collaborazzione con la Cineteca di Bologna, Il mondo perduto presenta la riedizione di 10 cortometraggi di carattere documentaristico realizzati dal maestro De Seta dal 1954 al 1959 e fino a oggi quasi introvabili (sono riuscito a registrarne solo un paio qualche anno addietro quando prosciugavo quel benedetto contenitire di cinema notturno che risponde al nome di Fuori Orario). Il libro che accompagna il DVD, invece, si intitola "La fatica delle mani" e ci presenta alcuni saggi su De Seta e sul suo lavoro firmati Fofi, Gazzano, Consolo, aggiungendo poi preziosi contributi scritti da parte di nomi importanti come Saviano e Scorsese (di cui potete leggere la testimonianza in questo post, in basso)...
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Titoli dei cortometraggi presentati in "Il mondo perduto"
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Vinni lu tempu de li piscispata, 11', 1954
Isole di fuoco, 11', 1955
Sulfarara, 10', 1955
Pasqua in Sicilia, 11', 1955
Contadini del mare, 10', 1955
Parabola d'oro, 10', 1955
Pescherecci, 11', 1958
Pastori di Orgosolo, 11', 1958
Un giorno in Barbagia, 14', 1958
I dimenticati, 20', 1959
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Chi conosce De Seta già sa. Tutti gli altri (immagino molti), coltivando un minimo di interesse per il cinema italiano che conta, dovrebbero fare una cosa, anzi due: procurarsi lo splendido "Banditi ad Orgosolo" (di cui custodisco gelosamente due copie originali in DVD e in VHS) e portarsi a casa, appunto, Il-mondo perduto. Recuperare questi film, sarà un modo per riflettere e non dimenticare il nostro passato, ma anche un piacere per gli occhi e per lo spirito.
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Per molti il suo nome è quasi sconosciuto, cerchiamo dunque di spiegare perchè egli è così importante. Negli anni Cinquanta, a cominciare dal 1953, De Seta ha girato con pochissimi mezzi e una troupe di tre/quattro persone alcuni dei capolavori del documentario mondiale (raccolti recentemente nel DVD sopra citato) rialacciandosi idealmente a Flaherty e documentando il lavoro umano e la natura selvaggia nella Sicilia e nella Sardegna di un tempo. Il lavoro umano, egli ha detto, non era sostanzialmente cambiato dall'antichità: "La pesca del pesce spada andava avanti così da duemila anni, quando io l'ho girata. Ci sono vasi fenici che la illustrano, e le immagini sono le stesse del '54. Chi poteva pensare a cosa sarebbe successo dopo in Italia con gli anni Sessanta? Chi poteva pensare, nel '54, che pochi anni dopo, di colpo, questo tipo di pesca sarebbe finito? Tutto quello che ho documentato allora è finito".
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Banditi a Orgosolo
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Dopo quel grande ciclo di documentari (in "ferrania color", assolutamente privi di commento parlato e di suoni che non fossero quelli raccolti sul posto, e costruiti ogni volta con ritmi e scansioni da poema), De Seta affrontò il suo primo lungoometraggio con Banditi a Orgosolo, girato sul sopramonte di Orgosolo nel 1961, che è uno dei capolavori del cinema italiano e di quegli anni davvero magici. Suoi contemporanei sono Il posto di Ermanno Olmi e Accattone di Pasolini, due registi che hanno molto amato De Seta. Il secondo lo difese quando girò Un uomo a metà nel 1966, che sconcertò perchè raccontava la crisi di un giovane intellettuale che non capisce più il mondo in cui vive e ne cerca le ragioni, con sofferenza e con lucidità. Era un film bellissimo ma non si era preparati ad accoglierlo. Ne fu aiuto regista Gianni Amelio, che deve a De Seta tantissimo e non lo nasconde. Dopo di allora, un film in Francia (mal riuscito per dei pasticci di produzione), L'invidiata (1969) e Diario di un maestro (1972) - su you tube [1] - [2] - [3] - che raccontava per la Tv il lavoro pedagogico di un maestro finito in una borgata romana (l'attore Bruno Cirino, opportunamente preparato da Albino Bernardini, l'insegnante autore del libro da cui il film era tratto) alle prese con bambini molto veri di una scuola molto vera. Era un incontro difficile e fu una prova di una regia di una ricchezza di insegnamenti inaudita, il quadro di un epoca e dei suoi problemi. Poi più niente, o quasi, fino ai documentari calabresi degli anni novanta e a Lettere dal Sahara [qui trailer] del 2006 (che io sappia l'ultimo lavoro di De Seta) film su un giovane immigrato senegalese che viene in Italia a cercar lavoro e se ne torna indietro molto deluso. Il regista lo ha girato in digitale, per la prima volta.
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Lettere dal Sahara
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I lunghi periodi di inoperosità di De Seta si devono, per lo più, a delle crisi personali e pubbliche del regista, determinate da una mutazione sofferta nelle vene più profonde del proprio essere e da cui egli è uscito sempre con vigore nuovo. Molti documentaristi italiani imparano da lui, rassegne e omaggi si susseguono da anni e ogni proiezione dei documentari o di Banditi che lo riguardano è un esperienza che lascia il segno sullo spettatore che non li conosceva.
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Intervista con Vittorio De Seta
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La testimonianza di Martin Scorsese dal libro "La fatica delle mani" 

Due anni fa i miei produttori italiani di Il mio viaggio in Italia (il mio documentario sul cinema italiano) mi fecero un regalo inaspettato: alcune copie in 35mm di documentari diretti ta Vittorio De Seta tra il 1954 e il 1958. Sette film in tutto, della durata di circa dieci minuti l'uno, sei dei quali girati in cinemascope. Titoli incantevoli come Lu tempu di li pisci spata, Isole di fuoco, Pasqua in Sicilia, Contadini del mare, Parabola d'oro... Avevo sentito parlare dei documentari di De Seta come accade per i luoghi leggendari: qualcuno doveva averli visti in un modo o nell'altro, ma nessuno si ricordava chi, dove o quando. De Seta stesso era una figura leggendaria e misteriosa. Aveva realizzato solo tre film negli anni sessanta (il primo dei quali, Banditi a Orgosolo, un capolavoro indiscusso) per poi scivolare, insieme ai suoi film, in una sorta di oblio. Ricordo distintamente di aver assistito alla proiezione di Banditi al New York Festival all'inizio degli anni Sessanta. Uno dei film più insoliti e straordinari che avessi mai visto. La storia è semplice: un pastore ingiustamente accusato di un crimine che non ha commesso, è braccato in un paesaggio arido e silenzioso. Il suo gregge muore di fame e lui, ormai ridotto alla miseria, è costretto a diventare un bandito. Ma il film è anche la storia di un'isola e della sua gente. Ambientato sulle montagne della Barbagia, in Sardegna, il film rivela un mondo arcaico, incontaminato, dove la gente si esprime in un dialetto antico e vive secondo le regole di una volta, considerando il mondo moderno estraneo e ostile. In loro, De Seta riscopre le vestigia di una società antica attraverso la quale risplende una nobiltà perduta. Lo stile del film mi colpì profondamente. Il neorealismo era stato condotto su un altro livello, in cui il regista partecipava completamente alla narrazione, in cui la linea di demarcazione tra forma e contenuto era stata annullata e in cui erano gli eventi a dettare la forma. Il senso del ritmo di De Seta, il suo uso della macchina da presa, la sua straordinaria abilità nel fondere i personaggi con l'ambiente circostante, furono per me una completa rivelazione. De Seta era un antropologo che si esprimeva con la voce di un poeta. Da dove veniva questa voce? Quarant'anni dopo essermi posto questa domanda ho capito che forse i suoi documentari potevano darmi una risposta. Alla fine li ho proiettati e sono rimasto stupefatto. L'inquietudine, il senso di spiazzamento, mi hanno invaso dalle prime immagini, mi sentivo impreparato di fronte a ciò che stavo vedendo. Sono stato sopraffatto da un'emozione intensa, come se avessi oltrepassato lo schermo e mi fossi ritrovato in un mondo che non avevo mai conosciuto, ma che improvvisamente riconoscevo. Un mondo crepuscolare. Quella che stavo guardando era la mia cultura ancestrale che volgeva alla sua fine, a un passo dal suo ingresso nella sfera del mito. Mi venne in mente una scena del film Roma di Fellini in cui un affresco scompare al contatto con la luce durante la costruzione di una linea della metropolitana, frammenti di una civiltà che hanno raggiunto l'epoca moderna risuonando della loro epicità. Ma non mi ero limitato a oltrepassare lo schermo, adesso stavo entrando nell'occhio del regista, come se nell'atto di impossessarmi delle nostre radici comuni avessi visto il mondo di De Seta. Stavo condividendo la sua curiosità e il suo stupore e realizzando con tristezza, come doveva aver fatto anche lui, che quella era l'ultima volta che la vitalità di una cultura incontaminata veniva filmata. Era, la Sicilia sullo schermo, una Sicilia che nella mia famiglia i miei nonni furono gli ultimi a conoscere, la Sicilia dimenticata. Un luogo in cui la luce del giorno era preziosa e le notti completamente buie e misteriose. Un luogo rimasto inalterato per secoli, in cui lo stile di vita era sempre lo stesso, dove le calamità naturali facevano parte dell'esistenza, minacciando ogni momento morte e distruzione. Un luogo in cui la religione rivestiva un'importanza primaria, dove le sofferenze della vita venivano rivolte alle stazioni della Via Crucis. In fondo questa gente si identificava con la liturgia della crocifissione. Erano i figli di Sisifo, che aveva imprigionato Thanatos per evitare il decesso dei mortali, i figli di Prometeo, che aveva rubato il fuoco agli dei per donarlo ai mortali, e per questo erano stati puniti per l'eternità. Gente che cercava la redenzione attraverso il lavoro manuale: nelle viscere della terra (Surfarara), in mare aperto (Contadini del mare), sulle colline (Parabola d'oro) tirando le reti, tagliando il grano, estraendo lo zolfo. Gente che sembrava pregare attraverso la fatica delle mani. Di cosa era composta questa alchimia? Era il cinema nella sua essenza, in cui il regista non registra la realtà, ma la vive in prima persona. In questi documentari ritrovai la stessa umile empatia di De Seta che avevo conosciuto in Banditi a Orgosolo. Non era solo il mondo dei miei antenati che mi era apparso davanti agli occhi, ma anche un cinema che non esisteva più. Un cinema che aveva il potere dell'evocazione religiosa. La proiezione era durata meno di un'ora ma il tempo era passato lentamente, come se avessi abitato ogni suo singolo fotogramma. Era il cinema nella sua espressione migliore, capace di trasformare, che mi aveva permesso di capire cose mai comprese prima d'ora e di vivere emozioni a me sconosciute. Mi sembrava di aver fatto un viaggio in un paradiso perduto.
Martin Scorsese
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Vi propongo sotto un video d' assaggio che in qualsiasi momento potrebbe essere rimosso, motivo in più per acquistare il DVD. Ne vale la pena per i motivi sopra riportati, oltre al fatto per nulla trascurabile che vi sarete portati a casa un pezzettino di storia del cinama del nostro paese.
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'U pisci spada ieri

Vinni lu tempu de li piscispata, 1954
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'U pisci spada oggi (triste)
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